10 giugno 2025

I furbi dell'astensione al referendum

Durante la campagna referendaria ci siamo scontrati con la mancanza di informazione (quale referendum?), con un diffuso disinteresse, ma anche con persone male informate. 
Qualcuno ci diceva che non è giusto restituire il posto di lavoro a TUTTI quelli che sono stati licenziati, forse c'è chi il licenziamento se l'è meritato; altri sostenevano che non è giusto VIETARE i contratti a termine, che in certi casi servono; e poi non è mica giusto scaricare sul committente TUTTI i costi degli infortuni sul lavoro, basta farsi l'assicurazione.  
La disinformazione ha raggiunto livelli incredibili. Abbiamo sentito anche persone convinte di non poter esprimere un voto nei quesiti sul lavoro perché sarebbe stato un Sì anche per la cittadinanza REGALATA a TUTTI i migranti che arrivano in Italia. 

Ma l'argomento contrario spesso non toccava neanche i quesiti referendari, riguardava piuttosto l'incoerenza e l'ipocrisia di chi aveva proposto i quesiti. 
Sì, perché quelle norme che i referendum avrebbero voluto abrogare le han volute proprio loro (sottinteso: i sinistri) prima le hanno fatte e poi ci chiedono di andare a cancellarle. 

Ma con che faccia!

Eh sì, questo modo di fare, bisogna ammetterlo, non va molto bene. 
Ma davvero quelle norme contro i lavoratori le aveva volute la CGIL? Per farsi questa domanda sarebbe stato necessario sapere che i referendum sul lavoro erano stati promossi dalla CGIL e solo dalla CGIL. Non da generici "sinistri". E il quesito sulla cittadinanza è stato promosso dal partito +Europa che non sembra collocarsi a sinistra.

La responsabilità solidale di appaltatori e committenti prevista da un decreto del 2008 (governo Prodi) non rischiava di essere abrogata dal quarto quesito che ne avrebbe invece ampliato la portata. 
Il Jobs Act fu approvato dal PD di Renzi, che lo impose contro la volontà dei sindacati (e soprattutto della CGIL) e contro il parere dei leader storici come Bindi e Bersani. 
Elly Schlein era talmente contraria che abbandonò il partito per protesta. 

Nessuno è tornato sui suoi passi, nessuno ha rinnegato il passato. Chi era contro, come Sinistra Italiana, Rifondazione, Verdi e M5S, sono rimasti contrari. Anche Schlein, Bersani e Bindi, erano contrari al Jobs Act e si sono coerentemente dichiarati a favore dei referendum. 
Neanche i renziani hanno cambiato opinione. Vollero il Jobs Act, lo ritengono ancora valido e insieme ai riformisti del PD si sono coerentemente opposti ai referendum. 
La stessa linearità va riconosciuta anche alle forze politiche di destra che sono sempre state favorevoli ai licenziamenti facili, all'eliminazione dell'art.18, al lavoro flessibile e alla deresponsabilizzazione. Perciò apprezzarono molto l'opera del governo Renzi. 

Allora il problema dov'è?  

Si riduce ad un'unica questione: nel PD ci sono due correnti, una corrente laburista, erede del vecchio socialismo, e una corrente riformista idealmente vicina alla Confindustria e sempre in piena sintonia con la destra berlusconiana. 

A qualcuno può sembrare strano, ma le correnti all'interno dei partiti non sono un'anomalia. Ci sono sempre state e di solito rappresentano una buona prova di pluralismo e di organizzazione democratica e tollerante. 
Quel che non capisco è il motivo per cui adesso i contrasti all'interno di un partito dovrebbero interessare anche a quelli che non aderiscono a quel partito. 

Ricordate la vecchia DC ?  c'erano lotte fratricide tra dorotei e morotei, tra fanfaniani e andreottiani, in Abruzzo tra gaspariani e nataliani. Ma ve l'immaginate voi nel 1974 qualcuno che avesse rifiutato di votare al referendum sul divorzio con argomenti di questo tipo: 

"Io non ci vado a votare perché il referendum l'hanno proposto quegli ipocriti di democristiani. A noi dicono di votare contro il divorzio, però loro quando vogliono si fanno annullare i matrimoni dalla Sacra Rota. Con che faccia! No no, io non voto!"

"No, neanch'io andrò a votare, il divorzio ce lo vogliono imporre Pertini e Berlinguer, ma loro però la moglie mica l'hanno lasciata, se la tengono, solo a noi ci dicono di ripudiarla. Ipocriti! Farabutti! A me non mi fregate mica!"


Sarebbe stata una barzellettaMa ora siamo ridotti proprio così. 
Ci siamo messi un bavaglio, ci siamo volontariamente tolti il diritto di votare solo per far dispetto a quel partito che s'è diviso in due correnti. Furbi, eh!

28 maggio 2025

Come risolvere il problema dell'astensionismo

La democrazia è in crisi, lo vedono tutti. E' una crisi causata anche dalla inadeguata rappresentanza. Molte fasce sociali non si sentono più rappresentate. Il sistema elettorale a liste bloccate ha reciso il rapporto tra elettori ed eletti, così i parlamentari, non avendo più bisogno del voto di preferenza per essere rieletti, sono soggetti solo agli ordini di partito e non alle istanze degli elettori. Un sistema lobbistico agisce facilmente sui vertici dei partiti indirizzando le scelte politiche in modo diverso e talvolta opposto rispetto alle esigenze di ampie fasce sociali. Da qui un senso di delusione che alimenta il crescente fenomeno della rinuncia al voto

Ormai una metà dei cittadini si astiene. C'è perfino chi ritiene che l'astensione sia la forma più logica ed evidente per manifestare il proprio dissenso, ma in realtà è un dissenso privo di qualunque efficacia, che diventa anche una forma indiretta di sostegno ai giochi sporchi della politica. E non è raro vedere che l'astensionismo è una scelta molto apprezzata dai maneggioni della politica. 

Alle elezioni regionali del 2014 in Emilia Romagna si registrò una affluenza al voto inferiore al 38%. Aveva votato solo una minoranza, ma non fu considerato un dato allarmante dai professionisti della politica, anzi l'allora Presidente del  Consiglio Matteo Renzi festeggiò il risultato affermando che l'affluenza è un problema secondario. A dirla tutta la scarsa affluenza potrebbe essere la soluzione perfetta per chi sa di non avere un vasto consenso tra i cittadini: le probabilità di vittoria elettorale, per un candidato sgradito ai più, aumentano se la maggioranza dei contrari si astiene.
L'astensionismo favorisce i nemici della democrazia.

Ma come si può superare questo problema?   

Qualcuno propone di trasformare il diritto di voto in un obbligo giuridico, prevedendo sanzioni per chi non si reca a votare.  E' una soluzione inutile perché il non-voto potrebbe facilmente diventare una scheda bianca o nulla. Gli eletti resterebbero comunque espressione dei soli che, nel segreto dell'urna, hanno depositato un valido voto. Ma sarebbe anche una soluzione poco democratica perché una democrazia coatta non sarebbe più democrazia.
Chi non vuol votare perché non crede nel sistema democratico, perché non si riconosce in alcun partito o perché è disposto ad accettare ugualmente qualunque risultato, non può essere criminalizzato. Sono libertà che una democrazia non può negare.  Però sappiamo che queste intangibili libertà individuali aprono la porta alla strategia antidemocratica che svuota la democrazia. Basta diffondere notizie (vere o false) che producono disgusto, indignazione e rifiuto della politica. Molti non si accorgono che il non-voto e l'antipolitica sono falsi rimedi. Equivalgono al buttar via il bambino delle libertà democratiche insieme all'acqua sporca della corruzione politica.

Una soluzione c'è

Un recente post di Renzo Rosso propone una soluzione interessante: il sorteggio parziale. Se tutti i cittadini devono essere rappresentati si può stabilire che una parte dei rappresentanti sarà eletta da quelli che hanno scelto di votare, ma la percentuale dei non votanti dovrà essere comunque rappresentata. Lo sarà ricorrendo ad un sorteggio effettuato tra i nomi di coloro che saranno inseriti in liste formate in base categorie socio-economiche di appartenenza, a cui si potrà aggiungere anche una selezione per titoli culturali e reputazionali.

Se metà degli elettori votano, metà dell’assemblea — Consiglio Municipale, Comunale o Regionale, Senato o Camera dei Deputati — viene composta dai membri eletti. I membri dell’altra metà sono, invece, sorteggiati da un ampio campione, rappresentativo della società. Più casualità e meno antipolitica non è una ricetta balzana, bensì una opzione fondata su rigorose analisi statistiche e seri studi scientifici. (R. Rosso)

Con questo sistema chi sceglie di non votare non si condanna all'autoesclusione, non diventa complice dell'antipolitica e non contribuisce al declino della democrazia in favore dei furbi e dei corrotti che continuano a votare anche nelle peggiori condizioni (anzi costoro di solito si avvantaggiano delle condizioni di scarsa rappresentanza e di corruzione dilagante); chi non vota si affiderà semplicemente all'esito del sorteggio.
In un Parlamento che riunisce rappresentanti eletti e rappresentanti sorteggiati nessuno avrà la possibilità di assumere la guida del governo col sostegno di una minoranza, come accade ora col 26% del partito di maggioranza relativa che corrisponde ad un misero 16 % degli elettori, ma dovrà guadagnarsi la fiducia anche della quota di eletti per sorteggio, politicamente non schierati.

Il quorum per il referendum popolare 

Un problema analogo si pone anche per la democrazia diretta. L'astensionismo infatti distorce le consultazioni referendarie poiché la nostra Costituzione prevede che il referendum abrogativo di una legge non può sortire alcun affetto se la maggioranza degli elettori si astiene.
Questa norma corrisponde ad un principio logico. Una legge approvata in Parlamento ha già ottenuto, attraverso la rappresentanza politica, l'approvazione indiretta della maggioranza dei cittadini e la decisione presa dalla maggioranza non può essere cancellata per volontà di una minoranza, sia pur "diretta".  Un disinteresse alla consultazione abrogativa può essere visto anche come disinteresse verso l'abrogazione.
Eliminare il quorum non sarebbe una scelta democratica.
Però sappiamo tutti che anche nei referendum popolari l'astensionismo ha un effetto distorsivo a favore della minoranza. Mi riferisco alla minoranza dei votanti alle elezioni politiche che si sente ben rappresentata in Parlamento, ne approva le scelte e quindi non sarà mai interessata ad abrogare una legge. Quella minoranza deve solo astenersi dalle consultazioni referendarie per sommare il proprio non-voto alla quota abituale di non votanti e dei disinformati. Così il più importante strumento di partecipazione diretta dei cittadini alle decisioni democratiche viene costantemente boicottato. 

Il quorum non va abolito ma semplicemente ricalcolato commisurandolo di volta in volta all'affluenza registrata nelle ultime consultazioni elettorali.
Per esempio, se alle elezioni del 2022 solo il 64% degli italiani ha esercitato il diritto di voto se ne può dedurre che il restante 36% non ha interesse per le decisioni politiche. Il quorum di validità dei referendum popolari sarà calcolato escludendo questa quota. Per la validità del referendum sarà sufficiente la partecipazione della maggioranza degli elettori attivi, cioè la metà più uno del 64%.
Con un quorum così ridotto (sia pure in modo variabile, ma attualmente sarebbe il 32%) le strategie di boicotaggio risulterebbero troppo rischiose.

 

21 maggio 2025

I cinque referendum e l'outing dei traditori

La CGIL ha promosso quattro quesiti referendari volti ad abrogare norme che hanno cancellato alcuni diritti dei lavoratori (il diritto al reintegro o all'equo indennizzo in caso di licenziamento illegittimo; il diritto a non essere assunti con contratto precario se non per una dichiarata necessità dell'azienda; il diritto ad avere un risarcimento in caso di incidente sul lavoro) a cui si aggiunge un referendum volto a ripristinare la vecchia regola che consentiva la concessione di cittadinanza italiana a chi risiede in Italia in modo continuativo, con lavoro regolare e fedina penale pulita da oltre 5 anni.  

5 REFERENDUM

Se la maggioranza degli italiani andrà alle urne e si esprimerà a favore dell'abrogazione votando , questi diritti saranno ripristinati.
I lavoratori assunti dopo il 2015 avranno gli stessi diritti che spettavano, e spettano ancora, ai più anziani; i contratti a termine resteranno liberi ma dovrà esserci una motivazione; le imprese che vogliono concedere i lavori in subappalto dovranno assicurarsi che il subappaltatore offra adeguate garanzie di serietà tecnica ed economica. Inoltre il quinto referendum restituisce ai lavoratori stranieri con impiego e residenza stabile in Italia da oltre cinque anni la possibilità di acquisire la cittadinanza e di trasmetterla ai propri figli. 

E' molto difficile trovare argomenti per contrastare queste richieste.
Il licenziamento arbitrario, la precarietà a vita, l'insicurezza generata dal sistema selvaggio dei subappalti concessi a prestanome privi di mezzi, non sono condizioni per un mercato del lavoro equilibrato e per un buon sviluppo dell'economia capitalistica. Perciò neanche i partiti di destra riescono a motivare una eventuale contrarietà senza dichiararsi favorevoli ad un sistema di sfruttamento selvaggio che peggiora tutte le piaghe della nostra economia: aumento eccessivo delle disuguaglianze; pecarietà permanente che impedisce ai giovani di formare famiglia; aumento dei morti sul lavoro; mancata integrazione dei lavoratori stranieri costretti a restare sempre ricattabili ed emarginati. 

Il vile boicottaggio

Non avendo argomenti i partiti di destra stanno cercando di boicottare il referendum. Il governo ha imposto un regime di silenzio che ormai appare una vera censura che nega agli italiani il diritto di esprimere liberamente e consapevolmente il proprio voto. Al contempo i partiti di destra tradiscono il proprio compito di favorire la partecipazione dei cittadini invitandoli a non votare. Si tratta di un sabotaggio perché è vero che ogni cittadino ha diritto di votare o non votare, ma i partiti che quelle norme hanno voluto e approvato dovrebbero difenderle, dovrebbero cercare di dimostrare che anche i cittadini le vogliono, quindi se vogliono mantenerle dovrebbero chiedere ai loro sostenitori di votare No.

Non è possibile nascondere il sabotaggio (attuato con lo strumento antidemocratico dell'astensione gonfiata arbitrariamente con la disinformazione) dietro il diritto di non votare, un diritto individuale che nessuno ha mai messo in discussione. Ma è quello che sta accadendo!

A questo osceno boicottaggio della democrazia, oltre ai partiti di destra sta oscenamente partecipando anche il governo che ovviamente è tutto di destra, ma anche un sindacato di destra (UGL, sì, esiste anche questo) e ora vediamo schierati contro i diritti dei lavoratori e a favore del boicottaggio anche i cosiddetti rosso-bruni.

Lo specchietto per le allodole.

Chi sono i rosso-bruni? Sono partiti che hanno la stessa funzione dei sindacati gialli. Il sindacato giallo finge di difendere i diritti dei lavoratori al solo scopo di indebolire gli altri sindacati e così favorire i padroni.
I partiti rosso-bruni usano argomenti tipici della sinistra (tradizionalmente rossa) per spostare il consenso verso gli obiettivi politici della destra (i neri) che talvolta si ammanta di istanze socialiste (la c.d. destra sociale) anche se queste non vanno mai oltre qualche forma di ostentata elemosina.

Il caso di Marco Rizzo

L'occasione dei referendum ha smascherato uno dei più noti esponenti dell'ideologia rosso-bruna (i sovranisti popolari) perché la sua dichiarazione a favore del boicotaggio dei referendum equivale ad un vero outing con cui Marco Rizzo si dichiara apertamente di destra utilizzando i più beceri argomenti della destra.

Vi ripropongo sotto i suoi post che si possono riassumere in tre punti:

1) E' colpa della sinistra, che doveva difendere e non ci è riuscita, quindi mai più nessuno ci deve riuscire. Non ci si deve neanche provare.
(sottinteso: comanda il padrone e tutti zitti!)
2) I giusti quesiti sul lavoro sono solo un trucco (un complotto) per convogliare voti verso la cittadinanza agli strarnieri.
(sottinteso: chi in Italia lavora regolarmente e onestamente da oltre CINQUE anni non deve integrarsi nella nostra vita sociale, economica e democratica, deve restare straniero, nemico, emarginato e soprattutto ricattabile, lasciando così che il padrone, negandogli il rinnovo del contratto, abbia il potere di negargli anche il permesso di soggiorno. E' solo così che i padroni riescono a mantenere i salari bassi per tutti, anche per gli italiani).
3) La richiesta di astenersi dal voto per boicottare il referendum è cosa giusta perché l'aveva detto Giorgio Napolitano.
(sottinteso: Napolitano è uno che non sbagliava mai. Il comunista che approvava l'invasione sovietica dell'Ungheria, che divenne Presidente per scelta di Berlusconi e che invece di fare il garante della Costituzione impose a Renzi di schiformarla a favore dei forti e delle destre, è il vero buon maestro di socialismo o di democrazia)

Ecco, a me Napolitano non sembra un esempio da seguire, ma forse lo è per Rizzo, ex comunista ormai schierato in tutto e per tutto al fianco delle destre nazionaliste e ultra-capitaliste.

 


Chi sono i traditori?

I rosso-bruni, si dicono rossi ma poi combattono sempre contro i rossi e sempre a favore dei bruni.
Nel suo outing da autentico politico di destra Marco Rizzo usa il termine più caro al tradizionale vittimismo dell'estrema destra: traditore (boia chi molla).
E' un vero paradosso.
Chi sventolando la bandiera rossa si pone apertamente contro i diritti dei lavoratori accusa di tradimento i partiti e i sindacati che osano ancora difendere quei diritti. 😟😟😟
Il tradimento sarebbe quello di chi, nonostante tutto, nonostante errori e sconfitte, è rimasto a sinistra. 😟😟😟
Con questa ritorsione i rosso-bruni (sovranisti-popolari) diventano la parte più disonesta nel panorama della destra, già tutta politicamente sleale nella sua scelta di boicottare i referendum invece di affrontarli con argomenti politici.

 

 

Ormai Marco Rizzo può ottenere una patente di autentico e coerente marxista solo da La Verità, Libero, Il Tempo e Il Giornale. Cioè dal peggio dell'apparato propagandistico della destra.

La vignetta satirica che vi ripropongo qui sotto, coi negri che escono dal cavallo di Troia, svela chiaramente quale atteggiamento mentale sostiene questo tipo di destra, una destra fascistoide da non confondere mai col liberalismo conservatore borghese, che pur essendo di destra, è favorevole al sistema capitalistico, ma non a promuovere una giungla illiberale di concorrenza selvaggia, sleale, senza diritti, nazionalista e razzista.   


27 aprile 2025

Appello per una sicurezza democratica

testo integrale dell'appello firmato da 257 giuspublicisti

È compito dei giuspubblicisti nei periodi normali della vita del paese interpretare ed insegnare la nostra Costituzione. È anche compito dei singoli giuspubblicisti assumere delle posizioni individuali all’esterno dell’Università. Ci sono momenti però nei quali accadono forzature istituzionali di particolare gravità, di fronte alle quali non è più possibile tacere ed è anzi doveroso assumere insieme delle pubbliche posizioni.

È questo il caso che si è verificato nei giorni scorsi quando il disegno di legge sulla sicurezza, che stava concludendo il suo iter dopo lunghi mesi di acceso dibattito parlamentare dati i discutibilissimi contenuti, è stato trasformato dal Governo in un ennesimo decreto-legge, senza che vi fosse alcuna straordinarietà, né alcun reale presupposto di necessità e di urgenza, come la Costituzione impone. Tale decreto – ultimo anello di un’ormai lunga catena di attacchi volti a comprimere i diritti e accentrare il potere – presenta una serie di gravissimi profili di incostituzionalità, il primo dei quali consiste nel vero e proprio vulnus causato alla funzione legislativa delle Camere. È accaduto spesso in passato ed anche in tempi recenti che la dottrina si trovasse a denunciare l’uso abnorme dello strumento della decretazione d’urgenza. Presidenza della Repubblica, Corte costituzionale, Presidenti delle Camere hanno più volte preso posizione in difesa del Parlamento e delle sue prerogative gravemente calpestate nell’esercizio della potestà legislativa, rimanendo inascoltati.

In quest’occasione la violazione è del tutto ingiustificata e senza precedenti, dato che l’iter legislativo, ai sensi dell’art. 72 della Costituzione era ormai prossimo alla conclusione, quando è intervenuto il plateale colpo di mano con cui il Governo si è appropriato del testo e di un compito, che, secondo l’art. 77 Costituzione può svolgere solo in casi straordinari di necessità e di urgenza, al solo scopo, sembra, di umiliare il Parlamento e i cittadini da esso rappresentati. Quanto al merito, si tratta di un disegno estremamente pericoloso di repressione di quelle forme di dissenso che è fondamentale riconoscere in una società democratica. Ed è motivo di ulteriore preoccupazione il fatto che questo disegno si realizzi attraverso un irragionevole aumento qualitativo e quantitativo delle sanzioni penali che – in quanto tali – sconsiglierebbero il ricorso alla decretazione d’urgenza, dal momento che il principio di colpevolezza richiede che chi compie un atto debba poter sapere in anticipo se esso è punibile come reato mentre, al contrario, l’immediata entrata in vigore di un decreto-legge ne impedisce la preventiva conoscibilità.

Numerosi sono i principi costituzionali che appaiono compromessi. Solo a scopo esemplificativo vogliamo ricordarne alcuni: il principio di uguaglianza non consente in alcun modo di equiparare i centri di trattenimento per stranieri extracomunitari al carcere o la resistenza passiva a condotte attive di rivolta; in contrasto con l’art. 13 Cost. e la tutela della libertà personale è il c.d. daspo urbano disposto dal questore che equipara condannati e denunciati; non meno preoccupante è la previsione con cui si autorizza la polizia a portare armi, anche diverse da quelle di ordinanza e fuori dal servizio. Una serie di disposizioni del decreto-legge aggravano gli elementi di repressione penale degli illeciti addebitati alla responsabilità di singoli o di gruppi solo per il fatto che l’illecito avvenga “in occasione” di pubbliche manifestazioni, disposizione che per la sua vaghezza contrasta con il principio di tipicità delle condotte penalmente rilevanti, violando per giunta la specifica protezione costituzionale accordata alla libertà di riunione in luogo pubblico o aperto al pubblico (art. 17 Cost.) mentre altre disposizioni violano palesemente il principio di determinatezza e di tassatività tutelato dall’art. 25 Cost.: si punisce con la reclusione chi occupa o detiene senza titolo “un immobile destinato a domicilio altrui o sue pertinenze”; si rischiano pene fino a sette anni per l’occupazione di luoghi che presentano un’estensione del tutto imprecisata e rimessa a valutazioni e preferenze del tutto soggettive dell’interprete.

Torsione securitaria, ordine pubblico, limitazione del dissenso, accento posto prevalentemente sull’autorità e sulla repressione piuttosto che sulla libertà e sui diritti rappresentano le costanti di questi interventi. Insegniamo che la missione di chi governa dovrebbe essere quella di cercare un equilibrio nel rapporto tra individuo e autorità. Invece, il filo che lega il metodo e il merito di questo nuovo intervento normativo rende esplicito un disegno complessivo, che tradisce un’impostazione autoritaria, illiberale e antidemocratica, non episodica od occasionale ma mirante a farsi sistema, a governare con la paura invece di governare la paura.

Confidiamo che tutti gli organi di garanzia costituzionale mantengano alta l’attenzione e censurino questo allontanamento dallo spirito della nostra Costituzione, che fonda la convivenza della comunità nazionale su democrazia, pluralismo, diritti di libertà ed uguaglianza di fronte alla legge, affinché nessuno debba temere lo Stato e tutti possano riconoscerne, con fiducia, il ruolo di garante della legalità e dei diritti.

Firme – Promotori

Ugo de Siervo (Presidente emerito della Corte costituzionale)
Gaetano Silvestri (Presidente emerito della Corte costituzionale)
Gustavo Zagrebelsky (Presidente emerito della Corte costituzionale)
Enzo Cheli (vice-Presidente emerito della Corte costituzionale)
Paolo Maddalena (vice-Presidente emerito della Corte costituzionale)
Maria Agostina Cabiddu – Politecnico di Milano
Vittorio Angiolini – Università degli Studi di Milano
Roberto Zaccaria – Università di Firenze
Roberta Calvano – Unitelma Sapienza

Firme – Giuspubblicisti aderenti

 

10 aprile 2025

Roberto Saviano: autore o vittima delle maldicenze?

Ieri ho trovato un pesante insulto nei riguardi di Roberto Saviano. Non è certo una novità, sappiamo che non è ben visto da tutti e che alcuni non esiterebbero ad eliminarlo fisicamente se non fosse protetto dalla scorta. Però l'insulto di ieri mi ha stupito perché era in una chat frequentata da attivisti del M5S, dove uno immagina di trovarci i seguaci di Beppe Grillo, e li immagina affezionati allo spirito con cui il comico genovese pubblicava nel suo blog il "calendario dei santi laici", molti dei quali erano vittime di mafia, e denunciava anche gli abusi del potere, perciò mi ha fatto uno strano effetto vedere che là ora qualcuno possa annoverare Roberto Saviano tra gli "infami". E' il termine che i mafiosi affibbiano ai "traditori", ma forse chi l'ha scritto non aveva intenti omertosi o intimidatori, l'ha scritto probabilmente in buona fede e postando anche un lungo elenco di titoli (almeno 10) su condanne giudiziarie che lo scrittore di "Gomorra" avrebbe subito nel corso degli anni. 

Si può dar credito a qualcuno che viene continuamente condannato per diffamazione?

Ecco, a mettere in fila tanti titoli in effetti può sembrare che Saviano sia stato condannato tante volte, per tante vicende diverse. Non è così. In tribunale lui c'è finito per DUE vicende: la diffamazione a Boccolato e il plagio di alcuni articoli pubblicati da giornali locali dell'editore Libra. In entrambi i casi ci sono state sentenze contrastanti perché non è sempre facile capire chi ha torto e chi ha ragione.

 

4 febbraio 2025

Che la pietà non vi rimanga in tasca

Giorgia si mostra in sceneggiate bugiarde che abbassano il livello della comunicazione politica. E sappiamo quanto fosse  già pericolosamente degenerata. Lei lo fa per coprire le sue incapacità e quelle della sua squadra di famigli e camerati. Talmente incompetenti che non riescono neanche a vedere la complessità dei problemi, pensano solo ad autocelebrarsi. Credono che per tutto basta avere un po' di risolutezza.

In tempi normali questi mezzucci durerebbero poco, presto arrivano i fischi, ma questi che stiamo vivendo non sono tempi normali. Sono tempi di ignoranza rampante, involuzioni normative, pulsioni autoritarie, guerre, odio dilagante…

15 gennaio 2025

Veri e finti privilegi in una società che ignora se stessa

Oggi un articolo del Fatto Quotidiano ci segnala le difficoltà che insorgono per garantire la presenza di  personale docente nelle scuole delle piccole isole. E' una situazione emblematica che dovrebbe farci riflettere su un problema più generale.
Lo stipendio di un insegnante non è sufficiente a coprire i costi della mobilità via mare. I traghetti appartengono a imprese private e occorrono accordi speciali per ottenere agevolazioni a favore di chi deve viaggiare frequentemente per lavoro. L'articolo suggerisce che per consentire spostamenti a costi accettabili si dovrebbero rinnovare accordi ormai scaduti con le imprese di navigazione, ma questa a mio avviso sarebbe solo una soluzione temporanea e sostanzialmente miope. 

Gli insegnanti, oltre ad essere i meno pagati d'Europa e i meno pagati tra le varie categorie di dipendenti pubblici, nel caso di incarico a svolgere servizio sulle isole o altri luoghi difficilmente raggiungibili, si trovano anche esclusi dalle piccole agevolazioni concordate per altre categorie di dipendenti pubblici… e così le scuole non aprono, le famiglie con figli devono trasferirsi e si generano enormi disagi per tutti. Che fare? Vogliamo precettarli con minaccia di licenziamento oppure mandiamo qualche sindaco ad elemosinare piccoli sconti dalle imprese di navigazione? Sono due risposte possibili, ma entrambe miopi e poco efficaci. 

Credo che il problema debba essere esaminato e risolto considerando l'intero sistema dei rapporti tra pubblico e privato. Non è una faccenda che riguarda solo quei singoli insegnanti costretti a raggiungere le piccole isole, occorre discutere in termini di interesse generale della collettività. Gli accordi scadono, le imprese cambiano e le agevolazioni più o meno buone spariscono, invece le scuole devono essere considerate una struttura stabile e ben funzionante anche nelle piccole isole e lo sguardo politico dovrebbe allargarsi oltre le scuole e il diritto all'istruzione, dovrebbe investire tutte le esigenze collettive ridisegnando l'intero sistema di raccordo tra esigenze pubbliche e attività private. Non servono soldi per farlo.

29 dicembre 2024

E' la casta, ma non conviene

I politici guadagnano troppo. E' l'eterno ritornello di tutti i qualunquismi.

Il governo della Meloni voleva aumentare lo stipendio dei Ministri, ma alla fine non se n'è fatto nulla, per la destra i voti dei qualunquisti son preziosi. Qualcuno c'è rimasto male, giustamente, perché i Ministri che non hanno anche un seggio in Parlamento (i c.d. tecnici) percepiscono una paga quasi modesta (4500 netti al mese) che non possono sommare alla più consistente indennità parlamentare come fanno i loro colleghi parlamentari. E spesso i c.d. tecnici sono anche quelli più competenti e che lavorano di più. (1)

Al bar tutti sanno che i politici guadagnano troppo, oltre ad avere troppi privilegi, però al bar nessuno sa che c'è una differenza tra Ministro e Parlamentare. Non sanno neanche che molti privilegi di cui si favoleggia da decenni potrebbero essere solo leggende, come l'auto blu con autista e l'immunità per ogni sorta di reato.

A Giannantonio Stella, giornalista del Corriere e autore fortunato del libro "La Casta" in cui denunciava i favolosi compensi dei politici, qualcuno durante un talk-show domandò quale fosse il suo stipendio da giornalista. Non voleva dirlo, ma alla fine confessò: ben oltre 300mila euro, cioè il doppio di un Parlamentare, il quadruplo di un Ministro. E non era neanche direttore di un giornale. Nonostante l'ammissione la maggioranza degli italiani continuò a credere che a guadagnare troppo siano i politici, non i giornalisti, non gli attori, non i calciatori... 

11 novembre 2024

Uccidere il drago cattivo

Le disuguaglianze ci sono e sono aumentate. A qualcuno basta una folata di vento, come il nome di un nuovo vecchio presidente, per ritrovarsi miracolosamente in tasca  26 miliardi di dollari in più. I nuovi ricchi sono più ricchi dei principi e dei re, ma non li vedremo mai, se non in qualche fotografia che potrebbe anche essere finta. 

Noi comuni mortali non sappiamo neanche come immaginarli i miliardi di dollari, nettare per gli dèi dell'Olimpo, perciò nessuno pensa a come poter limitare la straricchezza e lo strapotere di quei ricchissimi che non vediamo, la nostra abituale tendenza è quella di litigare tra noi e di prendercela coi più poveri: se io mi sento sfruttato e frustrato devi esserlo anche tu, non puoi beneficiare di RdC, di servizi pubblici gratis, di bonus o di elemosine. Te li devi guadagnare, faticare, te li devi meritare e non ti spettano se sei straniero, se sei diverso da me.

E' normale che il ricco o ricchissimo non voglia l'uguaglianza con noi poveracci e che non voglia essere tassato come noi o più di noi. È normale che voglia toglierci quei diritti che abbiamo per poterci asservire senza ostacoli di alcun tipo. Il potere ha sempre sete di altro potere.

Ma perché loro sono così ricchi e noi no?

2 novembre 2024

Sono loro, sono tornati

Non ci crederai... ma sono tornati... lupi travestiti da agnelli... bulli... arroganti e le facce ghignanti. Coi loro deliri... i loro dileggi.. la loro propaganda... e la stessa ignoranza !
(Vasco Rossi al padre)
 

Vasco vede quel che vediamo anche noi. Siamo in una diversa condizione storica, il tempo non torna indietro, il fez e i calzoni alla zuava non usano più, ma sono loro e ce lo dicono, ce lo ripettono ogni giorno.


Non passa giorno senza che non ci diano qualche chiaro segnale della loro fedele appartenenza: i busti del duce ostentati dalle massime cariche politiche, e qualche ministro sottolinea di tenerlo sul comodino; l'esaltazione della decima mas, i raduni di Acca Larentia, i finanziamenti per Forza Nuova, i francobolli per Italo Foschi e Maffeo Pantaleoni, la sede dei FdI intitolata a Italo Balbo, il mausoleo al generale Graziani, la riesumazione forzata del futurismo...

31 agosto 2024

Qualche proposta per il M5S

 E' iniziata la prima fase del grande congresso nazionale che il Movimento 5stelle ha voluto chiamare "Assemblea Costituente", forse allo scopo di indicare a tutti che la trasformazione da movimento di massa in partito politico (avvenuta con la presentazione delle liste elettorali nel 2013 che conquistarono un gran numero di seggi in Parlamento) non aveva mai avuto una adeguata formalizzazione. Il Presidente Giuseppe Conte ha voluto un'Assemblea basata sul principio di "democrazia partecipativa" assicurando che sarà dato modo a tutti di dare un contributo alle discussioni e di partecipare al sistema di valutazione delle proposte che perverranno.
Siamo ora nella Prima Fase, quella dedicata alla raccolta delle proposte. Avrei voluto partecipare dando il mio contributo ed evidenziando che le mie non sono proposte random, ma corrispondono ad una visione liberal-democratica che, in perfetta consonanza con i nostri principi costituzionali, non rinucia alle esigenze di giustizia sociale.

Vorrei, ma il sistema definisce alcuni "filoni tematici" e limita la proposta al numero massimo di 400 caratteri (poco più di un tweet) e poi le butta tutte insieme in un unico gran calderone di "Bisogni e obiettivi strategici". Anche per i commenti non c'è separazione tra i filoni tematici, quindi sotto ogni sequenza di brevi proposte arriva una valanga di commenti confusi tra loro, anonimi e talvolta ripetitivi.

La lettura di queste svariate migliaia di proposte, ammassate senza logica e senza neanche una numerazione cronologica, non consente di farsi un'idea. Per vedere se qualcuno ha già formulato una proposta analoga bisognerebbe scorrere centinaia o migliaia di pagine (anche il numero delle pagine è visibile solo a chi arriva in fondo). Mi sto chiedendo se vale le pena buttare altre proposte (le mie) tra le tante scemenze o ovvietà di cui il calderone già abbonda.

Non so. Per il momento mi limito a parcheggiare qui sotto una bozza di quel che avrei voluto proporre. Ho cercato di adeguarmi alla brevità richiesta. Per l'ambito della scuola, dell'università e delle libere professioni non riesco a fare una sintesi, perciò le pubblicherò separatamente.

Le mie proposte in estrema sintesi sarebbero state le seguenti:

11 agosto 2024

Stiamo diventando nazisti?

Ieri Ascanio Celestini ha pubblicato un brano di Primo Levi, scritto in risposta alla lettera di una bambina di 11 anni che gli chiedeva di spiegarle l’olocausto.
Il grande scrittore rispondeva con queste parole:

“sarebbe assurdo accusare tutti i tedeschi di allora (…). È però certo che una grande maggioranza del popolo tedesco ha accettato Hitler, ha votato per lui, lo ha approvato e applaudito, finché ha avuto successi politici e militari; eppure, molti tedeschi, direttamente o indirettamente, avevano pur dovuto sapere cosa avveniva (…) Perciò, piuttosto che di crudeltà, accuserei i tedeschi di allora di egoismo, di indifferenza, e soprattutto di ignoranza volontaria, perché chi voleva veramente conoscere la verità poteva conoscerla, e farla conoscere”.

Cambiando qualche parola ci si accorge che quello che scriveva Primo Levi riguarda noi, adesso. Egoismo, indifferenza e ignoranza volontaria sono il nostro presente. 

Nella Germania nazista non c'era solo il ben organizzato genocidio di ebrei, zingari, omosessuali, testimoni di Geova... c'era anche una ripresa economica trainata dall'industria bellica. Molti tedeschi preferivano guardare il bicchiere mezzo pieno. La miseria era finita. La Germania si preparava a conquistare il mondo e a tal fine progettava armi sempre più potenti e sofisticate. 

Il timore che i nazisti stessero costruendo un'arma atomica fu la ragione che portò molti scienziati a collaborare col Progetto Manhattan. Nell'agosto del 1945 la spaventosa distruzione di Hiroshima e Nagasaki avrebbe dovuto porre fine ad ogni guerra. L'orrore del nazismo e la distruttività degli ordigni nucleari obbligavano l'umanità a rispettare il monito di Elie Wiesel: "Mai più!"

L'idea di una guerra nucleare era diventata impensabile.  

«Non so in che modo sarà combattuta la terza Guerra Mondiale, ma la quarta si farà con pietre e bastoni. Se lo avessi saputo prima, avrei fatto l'orologiaio»
(Albert Einstein)

Bastavano 50 bombe per distruggere l'intero pianeta. Ne hanno costruite 15mila. Gli Stati Uniti prepararono un attacco nucleare contro la Cina nel 1958. Ce l'ha svelato Daniel Ellberg sul New York Times del 22 maggio 2021. Ellberg è lo stesso tecnico militare USA che nel 1971 fece diffondere i Pentagon Papers generando lo scandalo che portò alla fine della guerra nel Vietnam. Grazie a lui sappiamo che i comandi militari americani non avevano capito che non era più guerra quella cosa violenta a cui stavano giocando. Ma i politici finora non hanno cacciato via i militari. Nel 1958 il Presidente USA era Eisenhower, un generale che aveva avuto il comando degli eserciti alleati nella 2^ guerra mondiale. E pare che la sua idea di usare le bombe nucleari piaceva anche a Nixon e ora se ne parla nuovamente con possibilità non trascurabile. Mentre la gente guarda il bicchiere mezzo pieno. 

La consapevolezza è merce molto rara. Ne trovo un esempio nel post di Miguel Martinez. Ci parla dei prezzi. Il prezzo di un biglietto ferroviario, quello di un libro usato e la convenienza di 2,99 euro per il biglietto di Flixbus e quello di un volo low-coast Parigi-Firenze. Con la consapevolezza che dietro i prezzi così convenienti c'è anche quel mezzo vuoto che preferiamo non vedere, come i tedeschi degli anni '30. Le considerazioni di Hannah Arendt valgono anche per noi, adesso:

“Ma quel che diceva Eichmann e il modo in cui lo diceva, non faceva altro che tracciare il quadro di una persona che sarebbe potuta essere chiunque: chiunque poteva essere Eichmann, sarebbe bastato essere senza consapevolezza, come lui. Prima ancora che poco intelligente, egli non aveva idee proprie e non si rendeva conto di quel che stava facendo. Era semplicemente una persona completamente calata nella realtà che aveva davanti: lavorare, cercare una promozione, riordinare numeri sulle statistiche, ecc…
Più che l’intelligenza gli mancava la capacità di porsi il problema delle conseguenze e degli impatti delle proprie azioni.

Anche il banale acquisto di un biglietto è un'azione che ha conseguenze. Miguel le conosce, è lui stesso che le spiega ma fa quel che fanno tutti: "Faccio il male. Sapendo di farlo. Come uniche giustificazioni, “ma fa tanto comodo” e “così fanno tutti”.