La democrazia è in crisi, lo vedono tutti. E' una crisi causata anche dalla inadeguata rappresentanza. Molte fasce sociali non si sentono più rappresentate. Il sistema elettorale a liste bloccate ha reciso il rapporto tra elettori ed eletti, così i parlamentari, non avendo più bisogno del voto di preferenza per essere rieletti, sono soggetti solo agli ordini di partito e non alle istanze degli elettori. Un sistema lobbistico agisce facilmente sui vertici dei partiti indirizzando le scelte politiche in modo diverso e talvolta opposto rispetto alle esigenze di ampie fasce sociali. Da qui un senso di delusione che alimenta il crescente fenomeno della rinuncia al voto.
Ormai una metà dei cittadini si astiene. C'è perfino chi ritiene che l'astensione sia la forma più logica ed evidente per manifestare il proprio dissenso, ma in realtà è un dissenso privo di qualunque efficacia, che diventa anche una forma indiretta di sostegno ai giochi sporchi della politica. E non è raro vedere che l'astensionismo è una scelta molto apprezzata dai maneggioni della politica.
Alle elezioni regionali del 2014 in Emilia Romagna si registrò una affluenza al voto inferiore al 38%. Aveva votato solo una minoranza, ma non fu considerato un dato allarmante dai professionisti della politica, anzi l'allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi festeggiò il risultato affermando che l'affluenza è un problema secondario. A dirla tutta la scarsa affluenza potrebbe essere la soluzione perfetta per chi sa di non avere un vasto consenso tra i cittadini: le probabilità di vittoria elettorale, per un candidato sgradito ai più, aumentano se la maggioranza dei contrari si astiene.
L'astensionismo favorisce i nemici della democrazia.
Ma come si può superare questo problema?
Qualcuno propone di trasformare il diritto di voto in un obbligo giuridico, prevedendo sanzioni per chi non si reca a votare. E' una soluzione inutile perché il non-voto potrebbe facilmente diventare una scheda bianca o nulla. Gli eletti resterebbero comunque espressione dei soli che, nel segreto dell'urna, hanno depositato un valido voto. Ma sarebbe anche una soluzione poco democratica perché una democrazia coatta non sarebbe più democrazia.
Chi non vuol votare perché non crede nel sistema democratico, perché non si riconosce in alcun partito o perché è disposto ad accettare ugualmente qualunque risultato, non può essere criminalizzato. Sono libertà che una democrazia non può negare. Però sappiamo che queste intangibili libertà individuali aprono la porta alla strategia antidemocratica che svuota la democrazia. Basta diffondere notizie (vere o false) che producono disgusto, indignazione e rifiuto della politica. Molti non si accorgono che il non-voto e l'antipolitica sono falsi rimedi. Equivalgono al buttar via il bambino delle libertà democratiche insieme all'acqua sporca della corruzione politica.
Una soluzione c'è
Un recente post di Renzo Rosso propone una soluzione interessante: il sorteggio parziale. Se tutti i cittadini devono essere rappresentati si può stabilire che una parte dei rappresentanti sarà eletta da quelli che hanno scelto di votare, ma la percentuale dei non votanti dovrà essere comunque rappresentata. Lo sarà ricorrendo ad un sorteggio effettuato tra i nomi di coloro che saranno inseriti in liste formate in base categorie socio-economiche di appartenenza, a cui si potrà aggiungere anche una selezione per titoli culturali e reputazionali.
Se metà degli elettori votano, metà dell’assemblea — Consiglio Municipale, Comunale o Regionale, Senato o Camera dei Deputati — viene composta dai membri eletti. I membri dell’altra metà sono, invece, sorteggiati da un ampio campione, rappresentativo della società. Più casualità e meno antipolitica non è una ricetta balzana, bensì una opzione fondata su rigorose analisi statistiche e seri studi scientifici. (R. Rosso)
Con questo sistema chi sceglie di non votare non si condanna all'autoesclusione, non diventa complice dell'antipolitica e non contribuisce al declino della democrazia in favore dei furbi e dei corrotti che continuano a votare anche nelle peggiori condizioni (anzi costoro di solito si avvantaggiano delle condizioni di scarsa rappresentanza e di corruzione dilagante); chi non vota si affiderà semplicemente all'esito del sorteggio.
In un Parlamento che riunisce rappresentanti eletti e rappresentanti sorteggiati nessuno avrà la possibilità di assumere la guida del governo col sostegno di una minoranza, come accade ora col 26% del partito di maggioranza relativa che corrisponde ad un misero 16 % degli elettori, ma dovrà guadagnarsi la fiducia anche della quota di eletti per sorteggio, politicamente non schierati.
Il quorum per il referendum popolare
Un problema analogo si pone anche per la democrazia diretta. L'astensionismo infatti distorce le consultazioni referendarie poiché la nostra Costituzione prevede che il referendum abrogativo di una legge non può sortire alcun affetto se la maggioranza degli elettori si astiene.
Questa norma corrisponde ad un principio logico. Una legge approvata in Parlamento ha già ottenuto, attraverso la rappresentanza politica, l'approvazione indiretta della maggioranza dei cittadini e la decisione presa dalla maggioranza non può essere cancellata per volontà di una minoranza, sia pur "diretta". Un disinteresse alla consultazione abrogativa può essere visto anche come disinteresse verso l'abrogazione.
Eliminare il quorum non sarebbe una scelta democratica.
Però sappiamo tutti che anche nei referendum popolari l'astensionismo ha un effetto distorsivo a favore della minoranza. Mi riferisco alla minoranza dei votanti alle elezioni politiche che si sente ben rappresentata in Parlamento, ne approva le scelte e quindi non sarà mai interessata ad abrogare una legge. Quella minoranza deve solo astenersi dalle consultazioni referendarie per sommare il proprio non-voto alla quota abituale di non votanti e dei disinformati. Così il più importante strumento di partecipazione diretta dei cittadini alle decisioni democratiche viene costantemente boicottato.
Il quorum non va abolito ma semplicemente ricalcolato commisurandolo di volta in volta all'affluenza registrata nelle ultime consultazioni elettorali.
Per esempio, se alle elezioni del 2022 solo il 64% degli italiani ha esercitato il diritto di voto se ne può dedurre che il restante 36% non ha interesse per le decisioni politiche. Il quorum di validità dei referendum popolari sarà calcolato escludendo questa quota. Per la validità del referendum sarà sufficiente la partecipazione della maggioranza degli elettori attivi, cioè la metà più uno del 64%.
Con un quorum così ridotto (sia pure in modo variabile, ma attualmente sarebbe il 32%) le strategie di boicotaggio risulterebbero troppo rischiose.
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