18 ottobre 2020

Je suis prof


 

 “Uno dei nostri concittadini è stato ucciso oggi perché insegnava a scuola e insegnava agli studenti la libertà di espressione. ”

Emanuel Macron

 

 

 

 

Samuel Paty aveva 47 anni, insegnava storia in un liceo di Conflans-Saine-Honorine, vicino Parigi. E' stato ucciso davanti alla sua scuola da un diciottenne che gli ha tagliato la gola con un coltello da cucina. L'assassino non conosceva la vittima, ha avuto bisogno di informarsi per individuare il professore. L'ha ucciso gridando "Allahu Akhbar". Poi ha fotografato la vittima e ha postato l'immagine insieme a un messaggio su Twitter: "Allah, ho ucciso un cane dell'inferno che ha osato infangare il tuo nome".  

Durante la fuga ha opposto resistenza alla polizia ed è stato ucciso.

Non lo ritengo un atto di terrorismo, come scrivono in molti, perché l'assassino credeva di essere un giustiziere. Non aveva capito nulla, perché il professore non aveva infangato nessuno, aveva solo fatto correttamente il proprio mestiere. Non c'era nessuna offesa da vendicare. Macron ha ragione quando dice che Samuel Paty insegnava agli studenti la libertà di espressione. Un tema molto complesso. Un tema che sta diventando pericoloso.

La libertà di espressione si estende anche alla libertà di offendere gli altri, di diffamare e calunniare? 

Per affrontare questo tema, toccando anche le corde più sensibili, il professor Paty, lo scorso 5 ottobre, aveva deciso di mostrare agli studenti le vignette di Charlie-Hebdo, quelle che avevano ridicolizzato il profeta Maometto e che innescarono la vendetta compiuta il 7 gennaio 2015 dai fratelli Kouachi. Leggo che il docente francese è stato attento a non violare la sensibilità dei suoi studenti: prima di mostrare le vignette ha chiesto a chi poteva sentirsi offeso di uscire dall'aula. Quindi gli studenti di fede islamica avrebbero potuto partecipare alla lezione e alla discussione evitando di esporsi all'offesa. Pur non conoscendo il professor Paty posso facilmente supporre che un insegnante così attento a non urtare la sensibilità religiosa dei suoi studenti avesse anche la capacità di accettare un confronto aperto e critico.

Uno studente di fede islamica, rimasto in aula, ha ripreso con lo smartphone la parte della lezione che l'insegnante gli avrebbe voluto risparmiare. Così quello studente ha disatteso il consiglio che l'insegnante gli aveva dato a sua tutela e ha anche violato il divieto di riprese video non autorizzate, poi ha mostrato il video ai genitori che l'hanno mostrato ai loro amici. Una serie ripetuta di violazioni del divieto di rispettare la sensibilità religiosa. Le violazioni, che evidentemente non si possono imputare al comportamento del docente, dimostrano come in tutte queste persone la voglia di scovare un nemico da combattere fosse molto più forte del loro sentimento religioso e dell'interesse a proteggere la figura del profeta. Infine il video è diventato oggetto di animata discussione nella moschea. 

Il padre di una studentessa, ha pubblicato sui social-media le sue accuse al professore indicandone il nome e il recapito, commettendo ulteriori violazioni della riservatezza personale aggravate da minacce. Poi, facendosi accompagnare da un rappresentante dalla comunità islamica, si è recato nella scuola per chiedere il licenziamento dell'insegnante che veniva accusato di diffusione di immagini pornografiche. L'insuccesso di questa richiesta ha ulteriormente esasperato gli animi. Ormai la questione non era più religiosa, ma era diventata scontro tribale. La cultura tribale affonda le sue radici nell'identità personale, questa è la molla che ha spinto il diciottenne a compiere il suo atroce gesto criminale, che a mio avviso non ha motivazioni terroristiche, tuttavia non può che suscitare terrore.

Rispetto alla strage compiuta nel 2015 dentro la redazione di Charlie-Hebdo e al tentativo di replica compiuto recentemente, l'uccisione del professor Paty potrebbe sembrare un fatto meno eclatante perché riguarda una sola persona e scaturisce da un singolo fatto, invece a me sembra avere connotati ancora più gravi dei precedenti. 

Nel 2015 le proteste dei cittadini francesi usarono lo slogan "Je suis Charlie" per identificarsi nelle vittime della strage esprimendo loro una piena solidarietà, ma io, nonostante la solidarietà per i giornalisti uccisi e per quelli minacciati, non mi identifico con Charlie-Hebdo, le cui vignette mi sono sembrate spesso volgari, offensive e per nulla divertenti. La libertà di stampa non è un diritto all'approvazione di tutti. Anche l'idea di ripubblicare quelle vignette come bandiera identitaria da contrapporre al fanatismo islamico, non mi sembra una buona idea perché appartiene alla logica tribale.

Non mi sentivo allora di dirmi Charlie, ma oggi mi sento di dover dire: "Je suis prof", perché mi sembra che il professor Samuel Paty facesse il proprio mestiere nel migliore dei modi, entrando nel vivo delle questioni più delicate e facendo attenzione a non urtare la sensibilità delle persone. L'etica democratica ci consiglia di non creare eroi o martiri, ma vorrei che Samuel Paty diventasse un modello e un esempio per le scuole europee e per il principio universale di libertà. 

Libertà di espressione e libertà di insegnamento non possono arrecare danno ad alcuno se restano nei limiti del rispetto degli altri: rispetto delle diversità e rispetto delle sensibilità. 

Occorre far capire, a chiunque voglia dare alla fede una priorità rispetto alla ragione, che ciascuno deve cominciare col proteggere la propria indentità e sensibilità, prima di chiedere il rispetto degli altri. Per esempio: se il cameriere ti offre una pietanza senza avvisarti che contiene un ingrediente vietato (il cibo a cui sei allergico o la carne non consentita dalla tua religione o dalla tua dieta vegetariana) è giusto protestare perché c'è mancanza di rispetto e c'è slealtà, possiamo anche chiedere il licenziamento del cameriere, ma se sei stato correttamente avvisato devi solo fare liberamente una tua diversa scelta: non voglio quella pietanza. Altri la mangeranno e questo nessuno dovrà impedirlo. Era quello che avrebbe dovuto fare lo studente di fede islamica: uscire dall'aula. Consentire agli altri di vedere quel che lui riteneva di non voler vedere. I suoi genitori avrebbero dovuto rifiutarsi di gardare il suo video. I loro parenti e amici avrebbero dovuto dissuaderli dal diffondere un materiale che li offendeva. I primi a dire quel che sto dicendo dovrebbero essere gli imam, a tutela del loro credo. 

Prima di pretendere il rispetto dagli altri devi usare il rispetto per te stesso. Dopo chiederai anche il rispetto degli altri nella stessa misura in cui riesci a rispettare loro. Io rispetto il tuo credo religioso se tu rispetti il mio credo politico, anche quando è estrememente liberale. Solo così possiamo convivere. 

Dov'è che la convivenza risulta impossibile? Dove ci sono gli islamici? O dovunque ci sia un credo religioso fondamentalista che trasforma la fede in una visione totalitarista? La fede dovrebbe sempre rientrare nella libertà di ciascun individuo, ma è una libertà di coscienza, non può essere una imposizione generale.

5 commenti:

  1. I primi a dire quel che sto dicendo dovrebbero essere gli imam, a tutela del loro credo.

    Mai letto tanta ingenuità!

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  2. No, nessuna ingenuità. Non so come fai a vedercela. Potrei essere ingenuo nell'immaginare buone intenzioni nella mente degli altri, ma qui ho espresso solo un mio pensiero, basato sul mio personale uso della logica: se qualcuno mi prende in giro con un fotomontaggio che mi mostra nudo o ridicolo, cosa dovrei fare per tutelare la mia reputazione? cercare di nascondere l'immagine o mostrarla a tutti urlando allo scandalo?
    Forse questa è una logica che non ti convince, ma cosa c'è di ingenuo.
    Poi gli imam fanno e dicono quel che vogliono, non sono in grado di prevederlo, anche perché non ne conosco.

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  3. Voglio aggiungere che al contrario di quello che viene diffuso attraverso la falsa rappresentazione di una sinistra "buonista" o ipocritamente "tollerante", mi ritrovo in pieno nelle considerazioni esposte nei siti della sinistra radicale che non concede alcuna tolleranza agli intolleranti:

    http://temi.repubblica.it/micromega-online/prof-decapitato-in-francia-da-un-estremista-islamico-non-possiamo-piu-permetterci-il-lusso-dell-indifferenza/

    L'articolo di Cinzia Sciuto si conclude con un richiamo alla responsabilità dei musulmani di impedire che la narrazione fondamentalista prenda sempre più piede e generi violenza. Il mio richiamo al dovere degli imam di tutelare l'immagine del loro profeta, piuttosto che dare risalto alle vere o presunte offese, va nella stessa direzione. Non c'è solo la responsabilità delle frange violente, c'è una responsabilità di tutta la comunità islamica se tace. E' lo stesso invito che da sempre la sinistra rivolge anche ai fondamentalisti di casa nostra e a chi tollera i fomentatori d'odio che spesso, al pari dei fondamentalisti islamici, si proclamano cristiani solo per spirito di contrapposizione tribale.

    Quanto poco islamici siano i sanguinari giustizieri che invocano il nome di Allah si può comprendere ricordando un altro professore ucciso allo stesso modo di Samuel Paty, il palestinese Mahmoud al Asali

    http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.com/2014/07/mahmoud-al-asali-e-il-nome-di-un.html

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  4. @ T.P.

    Grazie per aver risposto alla mia consueta provocazioni. Mi hai dato infatti la possibilità di leggere due articoli interessantissimi. Sulla rivista "microMega", Cinzia Aiuto delinea un quadro spietato in cui si trova la sinistra europea - ma anche molti parti moderati - nei suoi rapporti con il fondamentalista islamico. L'"atroce esecuzione" di Samuel Paty è sì l'ultimo anello di una catena eventi, ma questa catena è molto più lunga di quanto si evince nel suo articolo. Sono almeno trenta anni che docenti francesi di storia ed educazione civica, di geografia o di biologia che insegnano nelle cosiddette ZEP (Zone d'Education Prioritaire) situate spesso nelle periferie delle grandi città o nelle città con una massiccia presenza di mussulmani sono spesso messi nell'impossibilità di fare il loro mestiere a causa delle forti pressioni da parte di genitori o associazioni islamiche. Per questi insegnanti è praticamente impossibile affrontare temi quali la Shoah, il colonialismo, le teorie di Darwin. Come nel caso di Samuel Paty, gli insegnati vengono lasciati al loro destino, devono cedere alle pressioni provenienti dall'esterno. Né i dirigenti né lo Stato francese intervengono a difendere il proprio dipendente, a cui spesso non va nemmeno la solidarietà dei colleghi. Venendo meno al compito di difendere i valori fondanti della République, ovvero della laicità, le autorità hanno permesso alle associazioni fondamentaliste di guadagnare terreno, "occupando sia fisicamente sia ideologicamente lo spazio pubblico". Non solo, bensì interi quartieri diventati aree "no go" per le forze dell'ordine e per coloro che non appartengono alla "tribù". Sì, Tommaso, ci ha preso proprio nel segno usando l'espressione "scontro tribale". La tribù, la comunità etnica o religiosa, che pretende dallo Stato francese continuamente leggi speciali o deroghe, che alla fine rafforzano, nel caso specifico solo il potere degli imam e delle associazioni e dei clan "mafiosi" che dominano il territorio. Proprio come nella Russia zarista quando i bolscevichi (la minoranza) ebbero la meglio sui menscevichi, così avviene nel mondo islamico: vincono i fondamentalisti perché più agguerriti ed organizzati. C'è un'altra considerazione da fare: molti imam ed associazioni, se non la maggioranza, sono "eterodiretti" , cioè finanziati da stati arabi o mussulmani, ed è quindi molto facile sottrarsi alle pressioni dello stato francese. La République, cedendo alle pretese delle varie comunità (tribù) presenti sul territorio francese, viene meno al compito di difendere la laicità e l'unità del paese.
    Cinzia Sciuto si chiede "La libertà di espressione è un valore che dovrebbe tare a cuore a tutti i cittadini francesi a prescindere dalla loro fede, no?" No se io metto dio o un profeta al di sopra di tutto (Über alles!, ti ricorda qualcosa?) anche dell'essere umano e del cittadino. L'articolo uno della Costituzione tedesca dice "La dignità della persona umana (Mensch) è intangibile" e non la religione è intangibile.
    infine, mi sapresti spiegare perché i più strenui avversari dell'islam sono intellettuali ex-mussulmani per i quali l'islam non è una religione ma un'ideologia fascista?

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  5. Mi sono appena accorto di un refuso: ho scritto "Aiuto" al posto di Sciuto...

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