Notizie di questo tipo ci fanno vedere che siamo in una situazione molto strana, difficile da comprendere, ma forse qualche spiegazione esiste e l'abbiamo avuta da Umberto Galimberti nella trasmissione televisiva di Andrea Purgatori.
Nel descrivere il nesso che lega il virus alle tendenze negazioniste, Galimberti ci fa osservare che la pandemia è diversa da una guerra. Non possiamo vedere il virus, non sappiamo dov'è e questa invisibilità del nemico ci mette in una condizione strana. La paura ha un oggetto determinato, si riferisce a qualcosa: un precipizio fa paura, una tigre fa paura, un fulmine fa paura, un nemico fa paura. La paura è un'emozione utile che ci induce a fuggire dal pericolo o a reagire tempestivamente. Col virus la situazione è diversa. Il pericolo non si vede, non sappiamo chi potrebbe contagiarci, non c'è nulla che fa paura, nulla contro cui rivolgere le nostre azioni. Le notizie sulla diffusione della pandemia ci mettono in uno stato di angoscia. L'angoscia è diversa dalla paura, è un senso di oppressione che non ha punti di riferimento: non sappiamo cosa fare, dove fuggire o come reagire. Mentre la paura ci rende cauti e ci aiuta a difenderci dal pericolo, l'angoscia è un'emozione che ci soggioga senza darci scampo, perciò l'angoscia può far delirare.
Un modo per sottrarsi all'angoscia può essere quello di negare l'evidenza: il pericolo non c'è, il virus non esiste, è una balla, quei morti sono morti per altre cause (negazionismo puro), oppure possiamo alleviare il nostro senso di angoscia ammettendo a noi stessi che un pericolo c'è, ma ci deve essere anche qualcuno contro cui agire, vogliamo sapere chi ha fabbricato il virus come arma biologica che viene usata contro di noi, così cerchiamo di dare una riconoscibilità al nemico, di collocarlo in una dimensione che si possa combattere. E' una normale difesa psicologica. In questa rielaborazione il complottismo ci aiuta perché ci svela le finalità e le segrete strategie del presunto nemico. Grazie alle teorie della cospirazione possiamo sapere cosa sta accadendo e sappiamo anche contro chi combattere. L'adesione a queste teorie ci fa uscire dallo stato d'angoscia, ci fa trovare forza e coraggio e ci fa unire ad altri combattenti. Ma occorre individuare un nemico per poter combattere. Se il nemico non c'è (perché l'unico nemico è quello invisibile) allora ce lo inventiamo.
Chi ha scelto una di queste "cure" per preservarsi dall'angoscia non può rinunciarci solo perché ha la febbre e la tosse.
La caccia agli untori
Ai tempi delle antiche pestilenze la gente cercava di liberarsi dell'angoscia mettendosi a caccia degli untori, c'era chi andava a spiare le mosse di qualunque persona sospetta per denunciarla alle autorità, come racconta Manzoni nella "Storia della colonna infame". Non lo facevano per malvagità, anzi, erano convinti di agire per il bene di tutti. Oggi, con quello stesso spirito, ci si unisce ai movimenti che protestano contro la dittatura sanitaria, contro la congiura degli scienziati, contro il business delle industrie farmaceutiche, contro le mascherine protettive, contro le menzogne dei giornalisti... in questa guerra che trova il suo nemico nei "poteri forti", nel cartello dei "Big-pharma", nelle oscure cospirazioni giudaico-massoniche e via delirando verso le elite pedo-sataniste e le segrete dinastie dei rettiliani, i giornalisti (informazione main-stream) vengono additati come agenti della propaganda del nemico, chiunque racconta la propria vicenda di malato di covid è sospettato di essere un attore che finge, le ambulanze si trasformano in strumenti di una messa in scena, chiunque indossa una mascherina protettiva può essere considerato un renitente alla leva, un disertore o un traditore.
La spiegazione di Galimberti ci aiuta a capire anche perché questi deliri indotti dall'angoscia collettiva si legano facilmente ai movimenti politici dell'estrema destra, anche quando vi aderiscono persone che non provengono ideologicamente da quei settori: l'espediente psicologico utilizzato per alleviare l'angoscia è la simulazione di una guerra e la logica di guerra, col suo linguaggio e le sue tecniche, è il terreno abituale delle dottrine politiche di estrema destra che in questa situazione riesce facilmente a sfruttare le tendenze ribellistiche agitando proteste senza proposte ed esaltando le reazioni istintive, viscerali.
Il delirio negazionista capovolge la realtà: il nemico da combattere non è più il virus ma il vaccino, non è più il rischio di contagio ma il medico, non è più il governante che se ne infischia dei decessi abbandonando il popolo al suo destino ma il governante che si ingegna a prendere provvedimenti protettivi. E' possibile, come avverte Galimberti, che questo assurdo capovolgimento sia facilitato dal fatto che ormai viviamo da anni in un contesto negazionista che ci aveva già abituati al capovolgimento delle parole: non si dice deportazione ma trasferimento di popolazione; non si dice tortura ma pressione fisica, non si dice massacro ma danni collaterali, non si dice guerra ma missione di pace, non si dice licenziamento ma mobilità... sono tutti trucchi linguistici che servono per negare ciò che si sta realmente facendo.
Il negazionismo della post-verità
Da almeno due decenni siamo dominati da un linguaggio che tende a nascondere la realtà, cerca di edulcorarla. E' una forma di negazionismo.
"Il suddito ideale del regno totalitario, non è il nazista convinto né il comunista convinto, ma l'uomo per cui la distinzione tra fatti e finzione, e la distinzione tra vero e falso, non esistono più". Hannah Arendt
Il negazionismo non è iniziato con Trump alla guida degli USA, la verità aveva già perso il suo valore di stella polare del ragionamento.
Con la campagna elettorale di Trump del 2016, quella che era stata una silenziosa emarginazione dei fatti è diventata aperto ripudio, la verità dei fatti viene sostituita da una più comoda "verità alternativa". Per molti basta una rappresentazione che ci convince, senza necessità di verifiche. Le continue menzogne di Trump sono state etichettate come "post-verità", cioè un nuovo tipo di verità. Ma anche questo è un modo per edulcorare e falsificare ciò che si dovrebbe chiamare semplicemente menzogna.
Trump non ha inventato il trucco della verità alternativa, Trump rappresenta solo l'ultimo stadio di un processo evolutivo (anche se sarebbe meglio definirlo involutivo) iniziato da tempo. Ce lo testimonia Ron Suskind parlando di una conversazione avuta nell'estate del 2002 con un consigliere di George W. Bush che allora era il presidente degli USA. Il potente uomo di Stato (forse era Karl Rove) rimproverava al giornalista di aver scritto articoli che contenevano critiche al governo:
"Mi disse che le persone come me facevano parte 'di quella che chiamiamo la comunità della realtà [reality-based community]: voi credete che le soluzioni emergano dalla vostra giudiziosa analisi della realtà osservabile'. Io assentii e mormorai qualcosa sui principi dell'illuminismo e l'empirismo. Lui mi interruppe: 'Non è più così che funziona realmente il mondo. Noi siamo un impero adesso e quando agiamo creiamo la nostra realtà. E mentre voi studiate questa realità, giudiziosamente come piace a voi, noi agiamo di nuovo e creiamo altre realtà nuove, che potete studiare a sua volta, ed è così che vanno le cose. Noi siamo gli attori della storia. [...] E a voi, a tutti voi, non resta altro che studiare quello che noi facciamo'".
Queste frasi - commenta Ludovica Liuni su Repubblica - non sono soltanto ciniche, degne di un Machiavelli mediologo, ma sembrano provenire da un palcoscenico teatrale più che da un ufficio della Casa Bianca. (...) L'elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti è il punto culminante di questa evoluzione. Con lui, è l'universo dei reality che entra alla Casa Bianca. Più che di costruire la realtà si tratta di produrre un reality show permanente, un universo sfaldato dove la libertà di espressione deve costantemente dare prova di sé attraverso la trasgressione. Il reality show trumpista è un telecarnevale in cui va in scena senza posa il capovolgimento dell'alto e del basso, del nobile e del triviale, del raffinato e del volgare, il rifiuto delle norme e delle gerarchie costituite, la rabbia contro le élite. Trump è una figura del trash del lusso che trionfa sotto i segni del volgare, dello scatologico e della derisione. Il vincente sotto le fattezze del perdente.
La descrizione più efficace della falsificazione che Donald Trump ha spudoratamente messo in atto senza infingimenti ce l'ha data il ghost-writer della sua sbaloditiva campagna elettorale del 2016, Tony Schwartz: "Ho messo il rossetto a un maiale".
La straordinaria potenza di questa comunicazione, ormai sganciata dalla verità dei fatti e legata solo alle prevedibili esigenze emotive del pubblico, riesce a convincere milioni di persone che per combattere gli abusi dei ricchi occorre affidarsi a un ricco, per contrastare la corruzione ci vuole un corrotto, per avere un mondo pacifico ci vuole un capo che detesta la pace, per conoscere la verità bisogna ascoltare la parola di un bugiardo, per risollevare la condizione dei ceti più poveri ci vuole un governo guidato da chi disprezza i poveri, per avere buoni servizi di welfare bisogna abolire il welfare, per salvarci dal virus bisogna avversare il vaccino... il 1984 di Orwell è arrivato con qualche decennio di ritardo, ma è arrivato.
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