14 novembre 2020

La pandemia negazionista

La negazionista di successo in TV

Siamo nel pieno della seconda ondata e vediamo in modo sempre più chiaro che il coronavirus Sars-Cov-2 ha innescato due pandemie, alla prima è stato assegnato il nome di Covid-19, la seconda invece è la sindrome negazionista che si presenta sotto varie forme: quella lieve della dietrologia complottistica, quella estrema del negazionismo puro e c'è anche una forma intermedia che cercherò di distinguere dalle precedenti.


Il negazionismo puro è quello di chi nega l'esistenza di un virus diverso da una banale influenza (non ce n'è coviddi); il complottista invece non nega l'esistenza del virus, lo ammette, ma usa la sua veggenza dietrologica per affermare che il virus è un prodotto di laboratorio commissionato da Bill Gates, da George Soros o da qualche altro demone presente tra noi in una incarnazione umana o rettiliana; in una terza forma la sindrome si presenta in modo più subdolo, non nega l'esistenza del nuovo virus e non denuncia una cospirazione già nota, ma si limita a riesaminare i dati distinguendo i morti per covid dai morti con covid.

I sostenitori di quest'ultima tesi ritengono che per valutare la pericolosità della pandemia si dovrebbero conteggiare solo i decessi causati esclusivamente dal virus, escludendo dal conto i decessi in cui erano presenti altre possibili cause. Si tratta di una distinzione che ha una sua logica. Però i sostenitori di questa tesi non si domandano come mai in tutto il mondo i medici e le autorità scientifiche non abbiano saputo cogliere la differenza. Forse per ignoranza, forse perché condizionati da interessi economici o forzati da una strategia politica volta ad istituire un regime di carcerazione domiciliare dei popoli, comunque sarebbe evidente che medici e scienziati sono tutti caduti in errore. Qualunque persona di buon senso potrebbe insegnare a classificare meglio i decessi.
Mi piacerebbe chiamare "dottoristi" i non-medici che dottori non sono ma presumono di essere più dottori dei veri dottori. Forse è un neologismo inutile perché stiamo parlando di una declinazione in ambito sanitario dei già noti ultracrepidari.

Ma perchè il "dottorismo" sbaglia? Non è forse vero che il decesso causato esclusivamente dalla sindrome influenzale è diverso dal decesso avvenuto per varie cause concorrenti? 

Per capirci facciamo il paragone con una catastrofe naturale come potrebbe essere un terremoto o un'alluvione. In che modo si farebbe la conta dei morti? Se abbiamo trovato, dalla sera alla mattina, mille morti, possiamo ascriverli tutti all'alluvione o al terremoto che in quelle ore aveva funestato la città? Non c'è tra essi qualcuno che, se non fosse stato già malato, paralizzato, drogato, chiuso in una cella, ecc.,  si sarebbe potuto facilmente salvare? Allora non dobbiamo chiederci se è vittima del terremoto e non piuttosto della sua incapacità di fuga? Non dobbiamo farci la stessa domanda per il cardiopatico che muore di spavento durante la scossa sismica? Eppure sappiamo che è buona regola attribuire tutte le vittime alla catastrofe che li ha uccisi, sia pure in modi diversi. Per tutti la calamità naturale è stata la causa ultima e determinante, come direbbero i giuristi. 

In questo modo di contare le vittime non c'è alcun trucco, perché sappiamo che senza la scossa sismica o senza l'alluvione nessuno (o quasi nessuno) sarebbe morto in quella circostanza. Pretendere di escludere dal conto dei morti chi, avendo la colpa di non saper nuotare o di non saper camminare, non è riuscito a salvarsi nell'allagamento della casa o dai crolli, oppure chi, essendo già in cattive condizioni di salute non aveva una gran speranza di vita, non sembra essere una pretesa legittima.

Che senso avrebbe distinguere tra morti per l'alluvione e morti con l'alluvione? Anzi, credo che il trucco stia proprio nell'introdurre furbescamente questa distinzione che consente perfino di azzerare il conto dei morti. Infatti ampliando la sfera delle cause concorrenti si potrà trovare per ogni vittima una potenziale concausa: perché in quel momento si trovava proprio nel luogo della catastrofe e non era andato a far visita al cugino di Roccacannuccia dove non c'è stato alcun terremoto? Lo cataloghiamo come vittima del sisma o del mancato viaggio?

In caso di pandemia il conteggio si fa allo stesso modo delle alluvioni e dei terremoti. I morti si contano senza senza fare troppe differenze tra le situazioni soggettive e soprattutto senza far sparire dal conto chi aveva una ridotta aspettativa di vita, ma che per questo non diventa indegno di vivere. E' qui che si evidenzia come i teorici dei conteggi separati finiscano col sostenere qualcosa che è moralmente peggio del puro negazionismo. Chi nega l'esistenza del virus non ha bisogno di fare discriminazioni, il virus non esiste per nessuno, punto, invece la pretesa di distinguere i morti per covid dai morti con covid si presta a dare un diverso valore alla vita, si vorrebbe usare un conteggio ripulito e ridotto per sostenere che le misure cautelari non servono, che la vita di qualche anziano diabetico non vale la rinuncia a un paio di mesi di discoteca e shopping.

Opinioni? Libertà di parola? Quante persone riuscirebbero a sopportare l'intelligentone che, davanti agli effetti devastanti di un terremoto, venisse a dirci che i mille morti sono solo dieci, perché tutti gli altri si sarebbero potuti salvare e perciò vanno catalogati come vittime di una loro pregressa incapacità di fuga? Quanti potrebbero accettare l'idea di non mettere tra le vittime del terremoto anche i vecchi e i malati che avevano già ridotte speranze di vita? Chi non caccerebbe via a forza di insulti e di pedate il genio che propone di escludere dalla lista delle vittime quello che aveva un cugino a Roccacannuccia?

Fin qui abbiamo considerato solo le eventuali cause preesistenti al contagio, ma distinguere i morti per covid (nel senso di solo covid) dai decessi dovuti anche ad altre cause sarebbe ancor più sbagliato rispetto a patologie sopravvenute. Ormai sappiamo che l'infezione da covid è causa di altre infezioni batteriche (polmoniti interstiziali), di patologie tromboembolitiche o neurologiche e anche di peggio. In questi casi la causa ultima e determinante del decesso non è più il covid, ma anche queste sono evidentemente vittime del flagello che li ha contagiati: la pandemia di covid-19. Vogliamo fingere di non capirlo?

La veridicità dell'osservazione sulle diverse cause di un decesso e l'apparente logicità delle conclusioni non deve trarci in inganno, ma non è facile e non deve stupire che anche tra i professionisti della medicina ci siano voci dissonanti. Un paradosso che era stato già colto da Manzoni nella sua descrizione della peste. Nei "Promessi sposi" c'è un negazionista, Don Ferrante, che è descritto come uomo colto.

Don Ferrante passava di grand'ore nel suo studio, dove aveva una raccolta di libri considerabile, poco meno di trecento volumi: tutta roba scelta, tutte opere delle più riputate, in varie materie; in ognuna delle quali era più o meno versato. Nell'astrologia, era tenuto, e con ragione, per più che un dilettante; perché non ne possedeva soltanto quelle nozioni generiche (...) Conosceva anche, più che mediocremente, la storia della scienza; sapeva a un bisogno citare le più celebri predizioni avverate, e ragionar sottilmente ed eruditamente sopra altre celebri predizioni andate a vòto, per dimostrar che la colpa non era della scienza, ma di chi non l'aveva saputa adoprar bene.

Per un curioso paradosso sarà proprio l'erudito Don Ferrante a non voler prendere neanche le minime precauzioni e a cader vittima della peste. Ora, nei nostri tempi di Covid, vediamo casi analoghi di medici e perfino di scienziati, come Luc Montagneir e Giulio Tarro,  che imbastiscono ragionamenti apparentemente logici e convincenti, ma è ormai evidente che sbagliano. A marzo dicevano che il Sars-Cov-2 sarebbe scomparso nel giro di pochi mesi perché, trattandosi a loro dire di un organismo artificiale, avrebbe subito un rigetto da parte della natura. Le cose stanno andando in modo molto diverso.


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