27 marzo 2023

Per combattere la povertà basta eliminare i poveri

C'era una volta una dottrina politica che aveva l'obiettivo di combattere la povertà. Si chiamava socialismo. I socialisti elaborarono diversi modelli: dalla società di produttori di Saint-Simon al falansterio di Charles Fourier, dall'abolizione della proprietà privata di Proudon alla socializzazione dei mezzi di produzione di Karl Marx, dalle comunità di Robert Owen alle cooperative di Giuseppe Massarenti.
Il marxismo ebbe più fortuna degli altri, ma fu anche la dottrina politica più deformata, nella Russia Sovietica diventò un totalitarismo burocratico e nella Cina Maoista diventò una fanatica persecuzione di presunti controrivoluzionari.
In tutti i casi ci fu una riorganizzazione sociale che riduceva almeno in parte le sacche di povertà, ma c'era sempre chi restava emarginato e talvolta oppresso dal nuovo potere.
La svolta ci fu quando arrivò al potere un italiano che per anni era vissuto come un vagabondo nelle cui tasche vuote c'era solo la medaglietta con l'effige di Carlo Marx. 

Mise in scena una finta rivoluzione che fu il pretesto per ricevere le chiavi del potere direttamente dalle mani del Re. Diventato capo del governo rinunciò a tutti i suoi propositi di socialismo, fece incendiare le sedi del partito socialista, fece bastonare e uccidere i suoi ex compagni di partito e poi dichiarò fuori legge tutti i partiti politici. Fu lui a comprendere che per eliminare la povertà non era necessario ricercarne le cause né cambiare gli assetti economici, bastava vietare la circolazione dei poveri, farli sparire. Emanò una legge che puniva l'accattonaggio: vietato chiedere l'elemosina. 

L'art. 670 del codice penale fascista fu dichiarato incompatibile con l'art.38 della Costituzione italiana nel 1959, ma solo nel 1995 la Corte Costituzionale dichiarò che la richiesta di elemosina è lecita perché una richiesta di umana solidarietà  "non intacca né l'ordine pubblico né la pubblica tranquillità" (sent. 519/1995).

Ora l'art.670 c.p. non c'è più, è stato abolito dalla Legge 205 del 1999, ma l'idea di Mussolini era evidentemente troppo geniale e la vediamo continuamente riproposta da ordinanze comunali che impediscono di distribuire cibo agli affamati, da sanzioni disciplinari alle maestre che cedono il loro piatto a un bambino escluso dalla mensa o agli infermieri che cedono un buono pasto a qualche povero. Questi provvedimenti sono tutti effetto dall'aporofobia, una forma di allergia ai poveri.   

La guerra ai poveri si combatte anche mandando la polizia a sequestrare coperte e cartoni ai senzatetto, talvolta picchiandoli brutalmente, come se non bastassero i pestaggi dei bulli che spesso usano anche il fuoco  per punire chi è troppo povero. Uno sport serale che ora è praticato anche dalle ragazze.  Ovviamente c'è una categoria di poveri più odiosa degli altri poveri, gli immigrati. Perché non vanno a fare i poveri a casa loro?

Anche rispetto agli immigrati sembra ormai abbandonata l'idea di capire chi sono, da dove vengono, perché arrivano. Risolvere il problema affrontando le cause è mentalmente faticoso, per eliminare il fenomeno migratorio basta fare quello che si fa coi poveri: eliminarli, non vederli, bloccarli su qualche spiaggia, confinarli in qualche bosco, recluderli in qualche lurido centro di accoglienza. Ed è quello che stiamo facendo da anni. Il metodo è costoso perché ci costringe a regalare navi ai libici, a pagare miliardi ai turchi, a raccogliere cadaveri nelle spiagge, incarcerare migliaia di clandestini (la clandestinità è diventata un reato), assumere spie, inviare flotte di navi in tutto il globo terracqueo e gestire lunghi processi giudiziari...  Soprattutto è un metodo totalmente idiota che non risolverà il problema e potrà solo infliggere sofferenze aggiuntive a chi è già afflitto da altre sofferenze.  

A finire sotto processo, oltre ai fuggiaschi senza documenti, sono anche coloro che non vogliono fare la guerra ai poveri, quelli che li aiutano o si oppongono con pretesti di vario genere, dalla carità cristiana alla solidarietà umana.
Ieri nel porto di Lampedusa è stata bloccata una nave, la Louise Michel, che porta il nome di una anarchica francese, viaggia a spese di un artista di cui nessuno conosce la vera identità ed è comandata da una donna, Pia Klemp, una piratessa tedesca già nota alle cronache giudiziarie e anche al mio blog.

 


Pare che stavolta l'impavida capitana l'abbia fatta grossa: ha violato il decreto che proibisce alle navi di fare soccorsi multipli. Possiamo tollerare che qualcuno soccorra un barchino con un po' di disperati alla deriva, ma l'Italia dei non-fascisti non può tollerare che si possano poi salvare anche altri naufraghi. Invece la Louise Michel avrebbe soccorso almeno quattro barchini nel corso di un solo viaggio! 

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La poetessa Louise Michel fu protagonista della Comune di Parigi. La stampa dell'epoca la definiva "la lupa assetata di sangue", ma in realtà Louise aveva repulsione per il sangue e fu proprio lei a chiedere che gli anarchici rinunciassero alla bandiera rossa, il colore che evoca il sangue, per adottare la bandiera nera. Fu deportata in una colonia penale agli estremi confini del mondo (la Nuova Caledonia) e incarcerata più volte.
Victor Hugo la descrive come un angelo che risplende oltre la medusa. Paul Verlaine le dedicò una poesia in cui svelava che la lupa assetata di sangue era una donna indocile ma molto buona, era l'angelo custode dei poveri.
Fu anche una fervente femminista e una rivoluzionaria irriducibile. Dopo la disfatta dell'esperienza comunarda invocò per sé la condanna a morte: «Se mi lascerete vivere, esorterò incessantemente alla vendetta». Oggi una così sarebbe all'ergastolo col 41bis come Alfredo Cospito.

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