Le recenti strettoie imposte all'uscita anticipata delle lavoratrici (c.d. Opzione-Donna) va nella stessa direzione dell'abolizione di Quota100.
Nel frattempo il governo ha archiviato definitivamente la promessa
leghista di abolire la riforma Fornero. Così, mentre la Francia è in
rivolta contro l'innalzamento del limite a 64 anni, in Italia neanche a
chi ha già compiuto i 65 o 66 anni è consentito andare in pensione.
Le
pensioni sono diventate una questione apparentemente irrisolvibile.
Possiamo protestare quando spariscono certe agevolazioni, ma non si
tratta solo di chiedere e di protestare, si tratta anche di capire come
funziona il sistema pensionistico, cioè da dove vengono presi i soldi
per i pensionati.
INPS significa "previdenza sociale". I soldi delle pensioni provengono dai contributi di chi attualmente sta lavorando, è un trasferimento di denaro senza alcuna forma di accumulazione.
L'INPS
non è una cassaforte e neanche un'agenzia di investimenti, perciò per
garantire buone pensioni non occorrono alchimie finanziarie, è
necessario combattere la disoccupazione, la sottoccupazione (lavoretti
sottopagati) e il lavoro nero. Sono tutte facce di un unico problema.
Ma
c'è un'altra questione di cui si parla poco o niente. Tra le tante
favole della narrazione neoliberista, in voga da ormai trent'anni, c'è
quella storiella che le pensioni non sono previdenza "sociale", bensì investimento individuale: ognuno la pensione se la paga da sè.
Affermazione falsa, ma conforme al dogma thatcheriano per cui la società non esiste.
La società esiste! L'uomo da sempre è un animale sociale, incapace di vivere isolatamente, ma qualcuno della nostra socialità vuol farne un nemico da distruggere.
La riforma Dini
Vorrebbero farci credere che la pensione è il risultato economico di scelte individuali, un profitto realizzato dall'impiego finanziario dei
contributi previdenziali. Seguendo questo imperativo neoliberista, che
nega il principio fondante del sistema, nel 1994 la riforma del governo
Dini (non a caso era un banchiere) abolì il sistema retributivo, che calcolava la pensione in base all'ultimo salario percepito, per sostituirlo con un sistema contributivo, che attribuisce la pensione ricalcolando tutti i contributi versati nel corso della vita lavorativa.
Usando la solita esca dell'invidia sociale
ci hanno fatto credere che il sistema contributivo è più giusto giacché
restituisce ad ognuno quel che gli spetta senza regalare niente ai
privilegiati, che poi sarebbero i furbetti delle baby-pensioni, accusati di essere i sabotatori del sistema previdenziale.
Ma
quanto ci costa l'apparato amministrativo che deve tenere i complicati
conteggi delle periodiche contribuzioni di ogni singolo lavoratore?
Prima il conto era semplice: se il tuo ultimo stipendio da
sessantacinquenne è stato di 1500 euro, con una pensione collocata
all'80%, avrai 1200 euro a prescindere dalla tua storia lavorativa.
Eri considerato una persona in età di pensionamento. Ora non sei più una persona, sei diventato un conteggio,
occorre ricontare tutto, centesimo per centesimo. Dobbiamo fingere che a
pagare la pensione non sono i lavoratori di oggi, ma i tuoi contributi
di ieri. E' falso, ma il peggio è che questo modo di ragionare crea un
disastro. Pensate alla discontinuità lavorativa, sempre più frequente,
pensate a chi è stato emigrante, a chi ha usufruito di trattamenti
temporanei e particolari oppure ai permessi che interrompono i
versamenti. Pensate soprattutto ai mancati versamenti di cui il
lavoratore non ha alcuna colpa. Pensate ai tantissimi errori, ai
successivi ricorsi e al costo delle consulenze. Col sistema contributivo
abbiamo creato un mostro e dobbiamo pagare un lavoro enorme che
alla fine serve solo a fare la differenza tra Tizio che deve percepire
1051,23 euro e il suo collega Caio che invece avrà solo 1014,56. E' così
importante questa differenza? Non era meglio evitare tutto questo
rimettendo i risparmi sull'importo delle pensioni? Tizio e Caio
avrebbero avuto la stessa pensione di 1100 euro. Perché non lo riteniamo
accettabile?
Dopo la riforma Dini abbiamo assistito al tracollo
del sistema pensionistico che la riforma diceva di voler salvare. Il
tracollo era dovuto solo in parte all'aumento dell'aspettativa di vita.
Ci sono altri fattori di cui poco si parla: il costo crescente
dell'apparato calcolatore e la precarizzazione del lavoro iniziata e
promossa come "flessibilità" a partire dal c.d. "pacchetto Treu" del 1997 e poi con la c.d. "Legge Biagi" alla cui elaborazione il professor Marco Biagi non potè dare alcun contributo.
I veri furbetti
Ci
sono sempre meno contributi e sempre più complicazioni nelle gestioni.
Ma ci sono anche altri due fattori di enorme importanza che restano
sempre nascosti: il salvataggio dei furbetti e quella che io chiamerei "evasione sociale".
I
furbetti non sono i tanto vituperati baby-pensionati, perché le
pensioni di anzianità erano decurtate rispetto alle pensioni di
vecchiaia, inoltre ad usufruire dell'uscita anticipata erano due
categorie, da una parte c'erano persone con problemi personali o
familiari che avrebbero sofferto se costrette a raggiungere il limite
massimo (sono le stese persone che oggi chiedono anticipazioni perché
ormai debilitate o costrette a dedicarsi ad assistere i familiari),
dall'altra c'erano persone intenzionate a dedicarsi a nuove attività
affrontando rischi che non avrebbero potuto sostenere senza una base
minima di sicurezza economica. In entrambi i casi la baby-pensione produceva effetti socialmente utili.
I
veri furbetti sono altri, sono quelli che non hanno mai versato i
contributi all'INPS perché erano autorizzati ad assicurarsi presso una cassa previdenziale autonoma. Le casse autonome sono quelle dei professionisti che attribuiscono pensioni in base a propri regolamenti interni.
La casse autonome.
E' tutto lecito, ma troppo comodo.
Facciamo il caso dell'INPDAI (Istituto Nazionale di Previdenza per i Dirigenti di Aziende Industriali) che era la cassa autonoma dei manager.
Il suo statuto prevedeva condizioni particolarmente favorevoli: 30 anni
di contributi (anziché i 40 richiesti dall'inps), versamenti ridotti
rispetto ai lavoratori dipendenti e pensioni doppie rispetto
all'ordinario calcolo contributivo. Che bello!
Ovviamente un
sistema di questo tipo, che chiede pochi contributi per pochi anni e
paga il doppio, è destinato al fallimento. Cosa succede quando una cassa
autonoma scopre di non essere in grado di pagare le super-pensioni ai
super-fortunati? L'Inpdai è stato assorbito dall'Inps nel 2003. Tempi del generoso Berlusconi che nello stesso anno aveva anche graziato i ladri di Stato con la magia del condono contabile (ne avete mai sentito parlare?). Le super-pensioni dei super-pagati e super-fortunati manager, come quella di 90mila euro al mese del signor Sentinelli sono
pagate dall'inps a cui lui non ha mai versato nulla perché nella vita
faceva il manager. E a tutti noi gonzi fanno credere che i furbetti
erano quelli delle mini-pensioni d'anzianità.
Non ditemi che il
signor Sentinelli è un caso eccezionale e l'assorbimento dell'Inpdai è
un altro caso eccezionale, sembra piuttosto una regola. Pochi mesi fa
l'INPS ha assorbito la cassa previdenziale fallita dei giornalisti (INPGI), così
ora i contribuenti inps pagheranno anche la pensioncina di 180mila euro l'anno che Vittorio Feltri percepisce dal 1997 (da un quarto di secolo!). Feltri è l'artefice del Metodo Boffo per cui fu meritoriamente sospeso
dall'albo dei giornalisti. Nel 2011, ancor prima che arrivasse la
signora Fornero, il buon Feltri invocava i 67 anni come età minima per
andare in pensione, ma parlava delle pensioni inps, quelle degli straccioni, non parlava dei
15mila euro mensili che la meritoria cassa giornalisti Inpgi gli versa
da quando lui aveva 53 anni. Ora, da luglio 2022, quella modesta
pensioncina gliela pagano proprio i miserabili contribuenti del
carrozzone inps.
Ecco cosa fanno i veri furbetti: si fanno una cassa autonoma con regole tutte particolari (per loro la Fornero non vale) e poi scaricano i debiti e gli obblighi di pagamento delle loro pensioni speciali sull'inps, alla faccia dei lavoratori a cui far credere che le cose vanno male per colpa della vecchiaia troppo lunga. Che brutta colpa voler campare!
Una "previdenza sociale" non dovrebbe includere l'intero sistema sociale?
Non sarebbe più giusto avere regole uguali per tutti i lavoratori?
Non sarebbe socialmente più conveniente un bacino contributivo più ampio?
Ora i manager non hanno più la loro cassa autonoma, ma continuano a percepire le loro 'pensioncine' dall'inps secondo i loro pregressi calcoli, e non soddisfatti sanno come riorganizzarsi in proprio il loro welfare.
La previdenza complementare
Il peggio però non ve l'ho ancora detto. E' un fenomeno a cui vorrei dare il nome di "evasione sociale".
Somiglia all'evasione fiscale: non pago le tasse, ma continuo ad
usufruire di tutti i servizi pubblici pagati con le tasse degli altri.
Chiamasi più semplicemente ladro.
Se c'è un sistema sociale di
previdenza istituito per garantire le pensioni, chi si sottrae al
sistema è ugualmente un evasore. Non dovrebbe essere consentito a
nessuno. Non dovrebbero esistere casse previdenziali autonome e neanche
forme agevolate di previdenza complementare.
La previdenza complementare
è consentita ed è anche agevolata (i contributi sono fiscalmente
deducibili dal reddito imponibile) in tal modo una parte sempre più
rilevante di denaro che i lavoratori vogliono destinare per assicurarsi
la vecchiaia viene distolta dal sistema sociale e gestita privatamente.
Dov'è il problema? Se io verso tutti i miei contributi obbligatori
all'inps e poi decido di investire privatamente altri miei risparmi o
semplicemente di nasconderli sotto un mattone per quando sarò vecchio,
faccio qualcosa di male? No, ognuno fa quel che vuole coi suoi soldi.
L'imbroglio c'è ma non si vede. Per vederlo ho fatto un mio piccolo
esperimento: ho versato nel corso di 10 anni 500 euro l'anno ad un fondo
previdenziale. Per star sicuro ho scelto quello gestito dal più grande
istituto bancario italiano. Sulle cifre versate non ho pagato tasse (la
deducibilità è prevista fino ad € 5.164,57).
Ciò significa che la
collettività mi ha aiutato restituendomi circa un terzo della somma
versata (circa 1500 euro dei cinquemila compessivamente versati) se avessi versato
cinquemila euro l'anno voi altri italiani mi avreste restituito 15mila
euro, che non sono bruscolini, ma per i più abbienti la deduzione può costare allo stato fino al 43%, cioè un regalo di 66.622 per un previdenza privata trentennale.
Ogni anno i gestori del mio fondo
previdenziale complementare mi hanno comunicato che i risultati della loro gestione
davano un discreto margine di profitto. Che bella soddisfazione! Non è
mica il carrozzone pubblico dell'inps.
Ora, raggiunta l'età
pensionabile, sono andato a riscuotere rinunciando al vitalizio e
optando per un versamento unico in capitale. Detratte le spese di
gestione e altre incomprensibili trattenute, mi è stata liquidata la
somma di 4200 euro. Ottocento euro in meno rispetto ai contributi
versati negli anni. Nessuna traccia di profitti. In conclusione la
collettività mi ha regalato 1500 euro per consentire a qualcuno di
derubarmi di 800 euro. Era solo un esperimento, se avessi versato 5mila
l'anno mi avrebbero rubato ottomila euro. Ecco perché la previdenza complementare non deve essere agevolata.
Ognuno è libero di farsi derubare, se vuole, ma non dev'essere consentito di
attribuire al furto il nome di "previdenza" e la collettività non deve
pagare per aiutare i ladri. Anzi sarebbe opportuno fare quel che si fa con le
sigarette e obbligare a scrivere sul frontespizio di ogni contratto di
previdenza complementare:
"Attenzione, nuoce gravemente alla tua futura pensione".
I soldi destinati a queste operazioni finanziarie, anche nel caso fortunato in cui andassero a buon fine, devono essere considerate una forma di "evasione sociale", come quella di chi pretende sconti fiscali perché si è dotato di una assicurazione sanitaria o perché manda i figli in scuole private. Sono tutte dannosissime forme di "evasione sociale".
In conclusione, se siamo consapevoli che il sistema pensionistico è basato sul principio di solidarietà tra giovani e anziani (previdenza sociale) quindi non è (non deve essere) l'ennesimo gioco finanziario esposto alle tempeste speculative, allora che senso ha il conteggio dei contributi?
Forse
chi è stato più sfortunato nel corso della sua vita lavorativa è meno
meritevole di solidarietà? chi nella professione ha ricevuto trattamenti
economici inferiori deve restare inferiore anche quando passa a carico
della collettività?
A me sembra assurdo che il principio di
solidarietà debba essere commisurato alle pregresse fortune o sfortune
lavorative. E' come se nel fare l'elemosina a qualcuno dovessi prima
chiedergli il certificato Isee. Se è troppo basso non posso regalargli i
due euro che ho dato all'altro mendicante un po' meno povero: "solo
un euro e dieci centesimi per te, amico mio, che ci vuoi fare, è la
legge del mercato, quarto comandamento della meritocrazia".
Se potessimo sfuggire ai paradossi creati dalla narrazione neoliberista il problema delle pensioni svanirebbe, perché è un problema costruito artificiosamente.
Secondo il mio modesto parere l'INPS dovrebbe essere un sistema di previdenza sociale obbligatoria per tutti e dovrebbe garantire una pensione di carattere retributivo con importi contenuti tra un minimo e un massimo stabiliti per legge. In un sistema semplice e chiaro si potrebbe ripristinare anche un criterio (stabile e regolare) per chi volesse anticipare l'uscita dal lavoro accettando un importo mensile proporzionalmente ridotto a partire dal compimento dei 60 anni di età, senza opzioni speciali. Eresia?

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