21 gennaio 2022

Dobbiamo aver timore dei colpi di Stato?

L'anno scorso, quando i teppisti sono entrati a Capitol Hill, vedemmo un improbabile sciamano con le corna che aveva raggiunto lo scranno più alto del Congresso USA. Era l'immagine della democrazia americana travolta da un'orda di barbari. Tutto fortunatamente è finito nel giro di poche ore. L'America ha tanti problemi, ci siamo detti, ma non può cadere nelle mani di un gruppo di esaltati che crede ai farneticanti messaggi di QAnon. Ma forse non era così. Non è stata solo una carnevalata. Il documentario trasmesso da La7 a cura di Andrea Purgatori ci ha mostrato la durezza degli scontri e le difficoltà incontrate dagli agenti per la difesa del Campidoglio americano.

L'ex presidente Donald Trump chiede di tenere segreti i documenti riservati sui fatti di quel giorno, ma la richiesta è stata respinta dalla Corte Suprema. Ottocento pagine di documenti saranno consegnate alla commissione d'inchiesta. Si dovrà accertare se quello che accadde il 6 gennaio dell'anno scorso fu un tentativo di 'golpe'. Anche la figlia dell'ex presidente dovrà testimoniare davanti alla commissione. No, non si tratta di una ritorsione orchestrata dagli esponenti del Partito Democratico, nella Corte Suprema, presieduta da una donna scelta da Trump, prevalgono i giudici conservatori che hanno votato quasi compatti (8 su 9) contro la richiesta di mantenere segreti i documenti. Nella commissione la repubblicana Liz Cheney, figlia dell'ex vice-presidente Dick Cheney, ritiene che Trump possa essere incriminato per l'assalto a Capitol Hill.

 

Per chi volesse rivedere quello che è accaduto con le testimonianze dei protagonisti (sia di agenti, sia di rivoltosi o 'patrioti', come amano definirsi), provo ad inserire qui sotto la puntata di Atlantide, che dura poco più di due ore.

Se non è possibile avviare il video lo si dovrebbe poter vedere al seguente link:

Atlantide - il giorno della paura

I fatti del 6 gennaio 2020 erano un tentativo di colpo di Stato? 

Cosa sarebbe successo se i 'patrioti' di Trump che salivano le gradinate di Capitol Hill avessero svoltato a destra senza seguire l'agente che indietreggiava? avrebbero catturato e ucciso il vicepresidente Mike Pence o la speaker dei rappresentanti al Congresso Nancy Pelosi? Se fossero riusciti ad impedire la proclamazione del nuovo presidente cosa avrebbe fatto Donald Trump? Ovviamente non c'è una risposta a questi interrogativi, però non possiamo più pensare che il rischio di un colpo di Stato appartiene solo ai fragili sistemi istituzionali del terzo mondo. 

Siamo abituati a chiamarlo "Golpe" perché viene associato alla storia dell'America latina (ben noti sono i rovesciamenti di potere guidati dal generale argentino Juan Domingo Peron o dal generale cileno Augusto Pinochet), ma sono stati frequenti anche nei paesi africani. Impossibile non ricordare la destituzione di Hailé Selassié in Etiopia e l'uccisione di Thomas Sankara nel Burkina Fasu. Meno frequentemente si parla di putsch, un termine che riporta alla mente la sommossa organizzata dai nazisti a Monaco nel 1923.

Il Golpe non è sempre violento. Si possono usare anche altri metodi per rovesciare l'esito di un pronunciamento democratico. Per impedire all'ex presidente brasiliano Lula di partecipare alle elezioni è stata utilizzata una strategia giudiziaria. Anche in Bolivia l'ex presidente  Evo Morales è stato costretto ad abbandonare il paese. In Venezuela, dopo un fallito tentativo di golpe ai danni di Chavez, abbiamo assistito alle bizzarre insurrezioni contro Maduro. Sono tutti tentativi di rovesciare i risultati elettorali con forzature e mezzi truffaldini. Così è stato eliminato anche Rafael Correa dal governo dell'Ecuador. Qualcosa di simile è accaduto anche in Ucraina, con la destituzione di Janukovyc, e in Egitto con la destituzione di Morsi. Ma siamo sicuri che le democrazie occidentali siano immuni dal rischio? 

Le riflessioni che abbiamo riproposto parlando di Chris Hedges non devono indurci a valutare la possibilità del golpe bianco, praticato con la forza della persuasione e della disinformazione piuttosto che con l'uso delle armi?  

Salvador Allende fu eliminato dai militari nel corso del violento golpe cileno del 1973, ma negli altri casi in America latina è stata messa in atto la character assassination: una strategia che demolisce il consenso democratico del leader distruggendo la sua reputazione con false accuse, manipolazione delle notizie, esagerazioni, calunnie. Possiamo riconoscere questa strategia anche nelle democrazie occidentali. Donald Trump l'ha utilizzata abbondantemente nella sua prima campagna elettorale arrivando perfino a qualificare la diffusione delle menzogne come "verità alternative". Si diffuse anche l'idea che ormai la verità dei fatti era stata superata dalla "post-verità" e che il dibattito politico non avesse più bisogno di alcuna verifica dei fatti. 

La macchina propagandistica di Trump era soprattutto una macchina del fango. Ai sospetti e alle mezze verità, che spesso venivano smentite, faceva seguito un incessante flusso di calunnie creato dalle fonti anonime di Reddit, 4chan, 8chan, Facebook. Un flusso incontrollabile che contiene ogni genere di infamità. Forse non tutti sono disposti a credere che Hillary Clinton e Barack Obama siano sacerdoti di satana, non tutti credono al sacrificio rituale di bambini, non tutti credono che una nota pizzeria possa ospitare il tempio di una setta di spietati pedofili assassini, ma l'ombra di questi sospetti, che si accumulano negli anni, diventa incancellabile e finisce col distruggere qualunque personaggio.

In Italia la "macchina del fango" è stata utilizzata per distruggere la reputazione di un giornalista, Dino Boffo, con una strategia che da allora viene definita "metodo Boffo", dal nome della vittima. Forse sarebbe stato più giusto chiamarlo "metodo Feltri", dal nome del direttore del quotidiano che attuò la campagna diffamatoria. La macchina del fango in Italia è stata utilizzata contro magistrati scomodi che venivano pedinati, fotografati e rischiavano di essere diffamati anche per il colore dei calzini (il riferimento è al giudice Raimondo Mesiano preso di mira da un servizio giornalistico di Canale5  il 15 ottobre 2009), ma lo stesso metodo poteva colpire anche le vittime di mafia su cui si facevano aleggiare vaghi e strani sospetti allo scopo di sminuire l'orrore suscitato dal delitto.   

La macchina del fango è diventata un efficace strumento politico. I giornali di Silvio Berlusconi l'hanno usata contro i magistrati ma anche per demolire l'immagine di Gianfranco Fini, che era il principale alleato politico di Berlusconi ma aveva osato formulare alcune critiche. Una tempesta di fango è stata indirizzata nei social-media contro Laura Boldrini quando era presidente della Camera dei Deputati. Il fango è quasi tutto falso: notizie, dichiarazioni, parentele, avvenimenti, fotografie... Le fonti sono quasi sempre anonime: un flusso di  meme e citazioni di falsi profili, spesso gestiti da un software (i c.d. bot) come la famigerata "bestia" che Luca Morisi aveva realizzato per favorire l'ascesa politica di Matteo Salvini. 

Se gli anni ottanta furono definiti "anni di fango" per via della corruzione sempre più diffusa, il vero fango giornalistico sarebbe arrivato dopo, nel periodo in cui Silvio Berlusconi riuscì far convergere potere economico, potere politico e potere mediatico. La macchina, tuttora in funzione, opera a doppio senso: getta fango sugli avversari e spande profumi per incensare il macchinista. Così, se in America un personaggio ignorante, volgare e razzista come Donald Trump è assimilato ad un eroe popolare della guerra contro l'establishment pedo-satanista, in Italia un pregiudicato tuttora sottoposto ad indagini per stragi mafiose può legittimamente aspirare alla massima carica dello Stato. Non sarebbe anche questo un "colpo di Stato"?

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