La settimana scorsa ho dedicato un post a un comandante partigiano da poco scomparso, uno degli ultimi. Uno degli eroi, quasi dimenticati, sul cui coraggio e sul cui sangue è stata fondata la nostra repubblica.
Dei partigiani si parla sempre in modo generico, invece le loro storie personali meriterebbero di essere conosciute. I nostri ragazzi, anche quelli che studiano nei licei, non conoscono nessuno, neanche Sandro Pertini e Giuseppe Saragat che divennero Presidenti della nostra Italia, neanche Giuliano Vassalli e Massimo Severo Giannini che furono tra i più eccellenti giuristi della nostra repubblica, neanche Enrico Mattei che fu uno dei maggiori protagonisti dell'economia nazionale. I partigiani vengono spesso evocati allo scopo di sminuirne il ruolo. Si tende da vari anni a riesumare quei fatti dolorosi in cui alcuni appartenenti alle bande partigiane si macchiarono di azioni criminali e di vendette sanguinarie. Un subdolo tentativo di dare una copertura e una giustificazione ai crimini nazifascisti, come se si potesse porre sullo stesso piano l'aggressione organizzata e la violenza ideologizzata con la reazione scomposta da parte delle vittime.
L'ANPI (Associazione Nazionale dei Partigiani Italiani) viene spesso associata a ricordi inquietanti, vista come emanazione di una sinistra radicale e fanatica, assimilata all'anarchismo dei centri sociali. Gli attacchi talvolta provengono dalla stessa sinistra, come fu nel caso dello scontro col governo Renzi e col suo tentativo si stravolgere la Costituzione.
Ora, sulla Lettura (inserto domenicale del Corriere della Sera) vedo che almeno qualche storia viene giustamente riportata alla memoria. Un articolo di Antonio Carioti ci ricorda che Piazzale Loreto non fu soltanto il luogo di esposizione della salma di Mussolini. E' questo che tutti sanno. Si dimentica che Piazzale Loreto fu il luogo di un eccidio nazifascista. Vi fu compiuta una rappresaglia infame, priva di alcuna giustificazione di carattere militare. Quindici dissidenti antifascisti detenuti a San Vittore, all'alba del 10 agosto 1944, furono prelevati dal carcere dai fascisti della Legione "Ettore Muti", furono trasportati fino a Piazzale Loreto dove, alle 5,30 del mattino, furono uccisi. I loro cadaveri crivellati dai colpi sparati all'impazzata restarono lì, sotto il sole di agosto, allo scopo di intimorire i milanesi e distoglierli da ogni tentativo di ribellione.
Quello di Piazzale Loreto fu un eccidio che potrebbe essere assimilato alla rappresaglia nazista delle Fosse Ardeatine, ma fu anche più grave per molti aspetti. Mentre a Roma il comando nazista nascondeva la propria responsabilità dietro una "necessità" di eseguire la rappresaglia ordinata da Hitler a seguito dell'attentato di via Rasella, a Milano c'era stato un attentato in cui non morirono soldati tedeschi e neanche militi repubblichini. La bomba esplosa in viale Abruzzi aveva provocato una decina di morti, tutti civili italiani. Un attentato anomalo, mai rivendicato dai partigiani. Inoltre a Piazzale Loreto agirono direttamente i fascisti italiani che vollero dare spettacolo della loro ferocia.
«[...] il modo della fucilazione era stato quanto mai irregolare e contrario alle norme. I disgraziati non avevano neppure avuto l'assistenza del sacerdote, che non si nega neppure al più abbietto assassino. [...] Alle mie rimostranze, i comandanti nazisti hanno risposto tutti allo stesso modo: l'esecuzione era stata un'applicazione del bando del Maresciallo Kesselring [...] L'impressione in città perdura fortissima e l'ostilità verso i tedeschi è molto aumentata. Vi sono stati anche scioperi parziali in alcuni stabilimenti e corre voce che se ne prepari uno domani. [...] Non Vi nascondo che mi sento profondamente a disagio nella mia carica, giacché il modo di procedere dei tedeschi è tale da rendere troppo difficile il compito di ogni autorità e determina una crescente avversione da parte della popolazione verso la Repubblica».
Sono le parole scritte dal Prefetto di Milano Piero Parini nel suo messaggio urgente al Duce. Ovviamente il Prefetto fascista cerca di far ricadere tutta la colpa sui tedeschi e in particolare sul capitano Saevecke, che aveva autorizzato la strage. Il capitano nazista dopo la guerra fu chiamato a collaborare con la CIA, come molti altri criminali nazisti. Theodor Saevecke ricoprì anche l'importante incarico di vice responsabile dei servizi di sicurezza della Repubblica Federale Tedesca, e lo fece mentre il fascicolo penale sulla strage da lui ordinata a Milano restava volutamente nascosto per decenni dentro l'armadio (l'armadio della vergogna) del tribunale militare di La Spezia. La condanna all'ergastolo nei suoi confronti è stata pronunciata solo nel 1999, ma, come è accaduto in tutti i casi analoghi, la richiesta di estradizione non è mai stata accolta dalla Germania e lui non ha mai subito alcun processo in patria. È morto nel suo letto, a 93 anni, nel 2004.

Quel triste giorno dell'estate 1944, mentre i cadaveri dei 15 italiani trucidati a Piazzale Loreto restavano esposti al sole e alla vista dei milanesi, un giovane diacono, non ancora ordinato sacerdote, si recò dal vescovo per chiedergli di far benedire le salme dei martiri. Il cardinale Schuster gli disse che poteva farlo lui stesso, così Giovanni Barbareschi si recò sul posto, cercò di ricomporre i corpi, raccolse alcuni messaggi dalle loro tasche e si inginocchiò a pregare tra i cadaveri, finché un miliziano fascista non lo cacciò via. Pochi giorni dopo fu ordinato sacerdote e dopo la sua prima messa fu arrestato e recluso a San Vittore, dove subì anche la tortura. Poi fu deportato nel campo di concentamento di Bolzano.
Sarà sempre lui, quello stesso giovane sacerdote sfuggito rocambolescamente alla morte, a tornare in Piazzale Loreto nella primavera del 1945 per dare la benedizione ai cadaveri di Benito Mussolini e di Claretta Petacci.
Don Giovanni Barbareschi è morto due anni fa. Era stato insignito della medaglia d'argento per la sua partecipazione alla lotta di liberazione, fu proclamato Giusto tra le Nazioni per aver contribuito a salvare la vita di duemila persone (tra ebrei, militari fuggiaschi e antifascisti) che egli aiutò ad espatriare con falsi documenti da lui fabbricati. Giovanni Barbareschi nel 1944 era entrato a far parte delle Fiamme Verdi, le brigate partigiane di orientamento cattolico, organizzate da don Domenico Orlandini, che stampavano clandestinamente "Il Ribelle" in una tipografia milanese.
Come tanti altri partigiani fu un esempio di coraggio e di rettitudine. Una storia oscurata insieme a quella del feroce eccidio nazi-fascista. Nella memoria collettiva non ci sono le Fiamme Verdi di cui fece parte anche Giuseppe Dossetti. Nella memoria collettiva, sapientemente manipolata, Piazzale Loreto è rimasto, per quasi tutti, solo il luogo in cui fu fatto scempio del cadavere di Mussolini. Pochi sanno che Piazzale Loreto non era un luogo qualunque, pochi sanno che le salme dei fascisti fucilati non furono appese per disonore, ma solo per sottrarle alla rabbia della folla che, mentre erano distese a terra, le prendeva a calci. Pochi capiscono che non ci fu alcuno scempio voluto o attuato dai partigiani.
Ora la casa editrice Donzelli pubblica un volume che tenta di restituire un po' di memoria. La ricerca sui fatti di Piazzale Loreto è firmata da Massimo Castoldi, nipote di uno dei quindici martiri del 10 agosto, il maestro Salvatore Principato (l'uomo con la camicia a righe nella foto in alto che lo ritrae insieme alla moglie e alla figlia).
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