24 giugno 2020

Guardie e ladri

Il Black Lives Matter ha scoperchiato la pentola degli abusi commessi, quasi ordinariamente, dalle polizie. Ci ha costretto a parlarne. Negli Stati Uniti qualcosa di buono s'è visto (divieti alla polizia nello stato di New York), qualcosa di simile anche in Francia dove era già accaduto ad un fattorino di 42 anni, sposato e con 5 figli, di morire soffocato durante un arresto effettuato con le stesse modalità di Minneapolis; negli USA il capo dell'esercito che si è scusato per aver partecipato alla vergognosa passeggiata di Trump, ci sono state alcune promesse di radicali cambiamenti nella polizia di Minneapolis. Perfino il presidente ha mostrato qualche timido cedimento. Vedremo.

Nel frattempo purtroppo abbiamo dovuto contare altri morti e altri abusi: dopo l'anziano spinto a terra a Buffalo, i sacerdoti malmenati a Washington, un afroamericano di 27 anni, Rayshard Brooks, è stato ucciso ad Atlanta, da Tacoma, nello stato di Washington, emerge il video dell'uccisione in strada di Manuel Ellis, con modalità analoghe a quelle con cui è stato ucciso George Floyd; ma anche noi italiani ci siamo trovati davanti al video degli abusi ad Agrigento, [aggiungo il video della presa al collo di un ragazzo giustificata con le solite versioni ufficiali molto aggiustate] senza contare le notizie che giungono dai soliti posti come l'Egitto dove a picchiare non è la polizia che si diverte anche solo a guardare.

Torniamo quindi alla questione: il ruolo di poliziotto genera in modo quasi automatico una tendenza a prevaricare? Sì, la risposta dev'essere positiva, l'esperimento di Philip Zimbardo ha dimostrato che esiste un "effetto Lucifero" (ne abbiamo già parlato) per cui la relazione asimmetrica tra guardie e ladri (o presunti tali) induce al sadismo.


Zimbardo ha potuto studiare anche quello che accadde nella prigione di Abu Grhaib, trovando ulteriori conferme alle sue ipotesi. Il contesto è più importante dei moventi individuali perché li condiziona.


Qualcuno forse ricorderà l'ultimo film diretto da Pier Paolo Pasolini: Salò o le 120 giornate di Sodoma.

Un film sconvolgente che ha illustrato, fino alle estreme conseguenze, gli effetti del contesto carcerario. Il film lega già nel titolo l'opera del marchese De Sade, esaltazione della violenza gratuita in chiave di perversione sessuale, con la sede della piccola repubblica fascista creata al di fuori dei condizionamenti imposti dalla monarchia e dal cattolicesimo.


Le scene del film, girato nel 1975, contengono situazioni quasi identiche a quelle che sono poi emerse nel 2004 dalla prigione irachena di Abu Grhaib gestita dall'esercito americano. Stessi giochi di umiliazione sessuale, stessa degradazione dei corpi, stesso annullamento della personalità. Non si conoscono immagini dell'Esma, l'edificio scolastico di Buenos Aires adibito dal regime militare fascista a centro di torture e uccisioni dei dissidenti, tuttavia non si può dubitare che mostrerebbero analoghe forme di degradazione umana e di ferocia con overdose di sangue. Il film di Pasolini accompagnava gli spettatori dalle banali operazioni di polizia, alla disciplina carceraria fino in fondo al percorso, alla nuda violenza del potere.

Nel film di Pasolini non compare un Duce, neanche in effige. La cornice politica è quasi invisibile, perché sostanzialmente non esiste. Nel programma politico dei regimi fascisti non c'è un modello economico-sociale da realizzare, ci sono solo vaghi richiami retorici alla tradizione, all'ordine, all'obbedienza. La militanza fascista si concentra in tecniche di aggregazione e di conquista del potere. Si potrebbe quasi dire che il fascismo è un "esperimento carcerario". Anche il Main Kampf di Adolf Hitler è soprattutto un manuale di tattiche, benché il nazismo trovasse una propria dottrina teorica nella superiorità della razza ariana. Invece il fascismo italiano, e le sue numerose imitazioni novecentesche, sono costituite da sgangherate congetture illiberali che non riescono a disegnare una coerente dottrina politica. L'obiettivo è la strutturazione di gerarchie. La gerarchia è la causa degli effetti psico-sociali evidenziati da Zimbardo, però può essere presentata banalmente come esigenza di "ordine". Un ordine presupposto in modo gerarchico consente di trasformare la legge da strumento condiviso per assicurare una pacifica e democratica convivenza, a leva di potere che definisce chi deve comandare e chi deve subire. Una legge siffatta legittima ogni rafforzamento del potere e ogni strumento di oppressione. Il fascismo trasforma la sua innaturale violenza in uno stato di necessità. Ecco perché coloro che tendono a giustificare gli abusi come necessità e come uso legittimo della forza esprimono così la loro adesione alla perpetuazione di un contesto relazionale di tipo fascista.

Umberto Eco ci ha dato una dimostrazione perfetta di quanto sia sfuggente ciò che lo stesso Eco chiamava totalitarismo fuzzy o Ur-fascismo cioè fascismo eterno (qui il testo completo della lezione; qui una sintesi).

L'analisi di Eco viene ripresa anche da un articolo di Adam Weinstein (citato da Maria Teresa Carbone sul Manifesto)  nel quale sono riportati molti fatti che stanno accadendo negli USA e che mostrano come tutto sia ben riconducibile a una deriva di tipo fascista. Anche se questa accusa rivolta agli USA potrebbe sembrare paradossale, eppure si tratta di fascismo in senso stretto, non di una banale metafora.

L'attenzione dei media sulle statue distrutte dai manifestanti ha oscurato le azioni simboliche messe in atto dalla polizia a Philadelphia, a Cincinnati, a Columbus, a Cleveland, ad Atlanta... In questo modo la divisa del tutore dell'ordine rischia di creare una identità politica, un piedistallo di riconosciuta superiorità, una legittimazione della violenza che si sente anche sostenuta e rafforzata sia dalle dichiarazioni del presidente, sia dalla base popolare, proprio come Eco aveva previsto.
"Esiste nel nostro futuro un populismo televisivo o su Internet, in cui la risposta emotiva di un gruppo selezionato di cittadini può essere presentata e accettata come Voce del Popolo"  (Umberto Eco)
Le parole di Trump sono, come al solito, lontane dal linguaggio politico e dall'equilibrio che dovrebbe essere richiesto ai governanti di paesi democratici. Lui parla come parlerebbe una delle finte guardie dell'esperimento carcerario di Zimbardo, come un guardiano di Abu Grhaib: "Devi dominare, se non domini stai sprecando il tuo tempo" (Trump in una telefonata del 1 giugno ai governatori) "Dovete dominare, altrimenti farete la figura di un mucchio di cretini"; "lanciare un sasso è come sparare con una pistola"; "dovete punirli"; "Dovete arrestare le persone, rintracciarle e metterle in prigione per 10 anni e non si vedranno mai più queste cose".

In queste parole vediamo chiaramente che Trump non riesce a vedere se stesso come presidente di uno Stato composto da una pluralità di persone, lui si considera un giocatore che sta dentro lo schema carcerario. Lui sta dalla parte delle guardie, forse pensa di esserne il comandante. E' identico a Salvini con la sua mania di farsi chiamare capitano e di indossare divise (tutti i dittatori amano indossare divise, anche Hitler che era stato un semplice caporale e anche Mussolini che nonostante il suo diploma da maestro non divenne mai sottufficiale). Finte divise, dunque, ma utili al gioco.

Sappiamo tutti che le proteste in molti casi sono degenerate in saccheggi e devastazioni. Lo statista democratico dovrebbe riuscire a capire quel che succede e anche a fermare il disastro, invece è evidente una assoluta mancanza della domanda sulle cause. Una perfetta replica dell'esperimento carcerario. Non ci sono cause, c'è solo il ruolo assegnato.

Anche tra gli studenti di Stanford guardie e detenuti seguivano entrambi lo schema della contrapposizione violenta con un crescendo che diventatava incontrollabile. Nella realtà è necessario che ci sia qualcuno capace di fermare il gioco distruttivo, ma senza individuare le cause non si risolverà il problema. Il politico deve cercare di farlo, anche se poi la ricerca attenta delle cause può condurre verso conclusioni sgradite (qui un ottimo esempio che segue una linea di pensiero quasi contraria a quella del Black Lives Metter). La risposta muscolare aggrava la situazione. Il fascismo vuole la risposta muscolare per poter aggravare la situazione e spingere più avanti il processo di abbrutimento.

L'articolo di Weinstein ci aiuta a capire che il presidente dal ciuffo arancione non è uno sbruffone isolato, egli dà chiara espressione all"effetto Lucifero" che sta coinvolgendo molti. Mark Esper, il segretario alla difesa, che ha detto: "Penso che prima si fronteggia la massa e si domina lo spazio di battaglia, più velocemente si potrà dissipare la protesta e tornare alla giusta normalità". Negli stessi momenti il procuratore generale Bill Barr parlava di guerra al terrorismo degli antifa e il consigliere per la sicurezza nazionale Robert O 'Brien definiva "eroi" e "grandi americani" il 99,9 % dei poliziotti (sarà anche vero, ma forse il funerale di Floyd non è l'occasione giusta per questo tipo di autoesaltazione) mentre per O'Brien le persone che protestavano e subivano ulteriori violenze non erano più cittadini americani, erano  terroristi, nemici da abbattere. 

In Italia le cose non vanno diversamente. Il poliziotto che costringe i giovani migranti reclusi ad Agrigento a picchiarsi tra loro non sta facendo ciò per cui è stato assunto e stipendiato, sta solo manifestando l"effetto Lucifero", esattamente come i suoi colleghi di Lampedusa (qui l'inchiesta di Fabrizio Gatti realizzata nel 2005, e nulla è cambiato). Dovrebbe essere un'agente posto a tutela dell'ordine invece è solo un propagatore di odio. Alla società il suo metodo "educativo" farà solo danno. Quei giovani che lui vorrebbe correggere avranno accumulato rabbia e rancore che dovranno sfogare da qualche parte.

Luca Caprini, che auspica il ritorno dell'uomo coi baffetti capace di usare i forni dove mettere i negri che osano manifestare alzando il pugno, non è un semplice militante di una delle tante organizzazioni della destra nazi-fascista, è un poliziotto, è il segretario provinciale del Sap (Sindacato autonomo di polizia) di Ferrara, è un consigliere comunale eletto con la Lega di Salvini. Noi ricordiamo bene cos'è Ferrara, ricordiamo il volto tumefatto di Federico Aldrovandi e la sua mamma insultata a ripetizione dai poliziotti non contenti di averle ammazzato il figlio e ricordiamo anche gli insulti che ricevette dai sindacati di polizia. Noi sappiamo chi comanda ora a Ferrara e che linguaggio usa il vicesindaco Nicola Lodi per minacciare avversari e giornalisti. Ferrara è un luogo simbolico, la città dei Finzi-Contini. A noi piacerebbe far vedere in tutte le scuole quel vecchio e ormai dimenticato film di Florestano Vancini "La lunga notte del 43", ma non si può, nelle scuole ora verrà spacciata per "educazione civica" una poltiglia retorica di "diritti umani" mescolata a pistolotti sul cyberbullismo, parità di genere, inno nazionale, culto della bandiera, cambiamenti climatici, educazione alimentare et similia. 

Ed eccoci al punto di cui vorrei parlare: l'educazione civica, quella vera, da proporre ai troppi adulti rincretiniti che proseguono ogni giorno l'esperimento carcerario di Zimbardo sui social-media, insultandosi reciprocamente tra guardie e ladri, fascisti e antifascisti, ma non in TV dove non c'è spazio per antifa, la scena è tutta occupata dal fanatismo xenofobo di Mario Giordano sembra aver superato perfino Belpietro, Sallusti, Feltri, Santanché, Porro, Del Debbio e compagnia cantando. Le timide figure che dovrebbero rappresentare la sinistra e un po' di buon senso o non sono di sinistra oppure stanno silenziosamente in un angolino dove le questioni politiche non arrivano.

Sui social impazzano salviniani e pappalardisti che fanno eco al main-stream televisivo ripendendo gli stessi argomenti in modo più agitato, confuso e arrabbiato e per questo possono dichiararsi vittime del main-stream senza il quale non avrebbero neanche i fatti di cui discutere.

Come si può fare l'educazione civica a gente così abbrutita? Come si può contrastare la forza persuasiva e apparentemente apolitica delle gabbie calcistiche, degli esperimenti carcerari quotidianamente messi in scena dagli Amici di Maria, dai tronisti circondati da adoranti donzelle spogliate di ogni dignitità, dalle isole dei poco famosi, da numerosissimi Talent Show con esempi palesemente fascistizzanti come Master Chef ?

Forse sarebbe necessaria una nazionalizzazione delle TV da affidare alla guida di giornalisti del calibro di Sergio Zavoli e Piero Angela? No, non è un progetto da Minculpop o da regime sovietico, lo si potebbe fare conservando libertà di parola e pluralismo, basetrebbe seguire i suggerimenti di Karl Popper: la patente di guida per la TV analogamente a quella che ci consente di guidare l'automobile. Non è illiberale dire che la guida di una vettura nel traffico non può essere consentita a chiunque. Se oggi questa idea rischia di apparire utopistica è solo conseguenza di un sistema sbagliato che ha promosso in tutti i campi persone inadeguate (la prevalenza del cretino di cui scrivevano già negli anni '80 Fruttero e Lucentini) e che oggi ci fa trovare ai massimi livelli del giornalismo personaggi come Gianni Riotta (quello che non conosce l'art.1 della Costituzione), come Antonio Socci (il complottista iperbigotto) o Nicola Porro (mestatore di zuppe miste tra esasperato liberismo e fascinazione casapoundiana). Si salvi chi può.

L'equivalente di una patente è già prevista per insegnare nelle scuole, si chiama "abilitazione all'insegnamento", ma ormai sarebbe necessario un divieto di sostituire i docenti "patentati" con esperti autocertificati sul campo: imprenditori, formatori, conferenzieri, poliziotti, banchieri, intrattenitori e ogni altro genere di comparsa utile ad arricchiere i futili progetti scolastici. Sembra che a scuola i docenti abilitati siano gli unici a non aver titolo per insegnare. Ma così la scuola non è più scuola. Occorre tornare ai libri e alla grammatica, all'analisi logica e al pensiero articolato, col massimo pluralismo possibile e con la massima libertà di confronto civile. Ho detto civile

Una scuola guida e una patente anche per poter entrare nei corpi di polizia. Come prima lezione si potrebbe mostrare agli aspiranti poliziotti l'esperimento carcerario di Philip Zimbardo e spiegare loro che quel gioco di ruolo è il modello da non seguire: non siete attori, la vostra divisa non è una maschera, il vostro distintivo non è la bandiera dell'orgoglio nazionale, non vi conferisce alcuna superiorità rispetto ai cittadini di cui voi siete dipendenti e servitori; troverete sulla vostra strada cittadini che sbagliano, persone sbandate, frustrate, arrabbiate, ma sono persone, non terroristi, non vostri nemici, non orde da tenere a bada; in ogni persona dovete saper riconoscere qualcuno che può essere vostro padre o vostra madre o vostro fratello o vostro figlio. Dovete ricordare loro che anche voi non siete nemici. Dovete imparare ed insegnare la comunicazione, l'empatia. Dovete risolvere problemi anche molto complessi, le tecniche repressive non risolvono nulla, peggiorano tutto.  

PS: qui una mappa degli abusi negli USA

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