25 giugno 2020

Boris Pahor

Avevo concluso il post sulle storie di Covid con la promessa che avrei detto qualcosa su Boris Pahor.

Sono pochissimi a poter raggiungere i 100 anni e se qualcuno ci arriva con la mente lucida diventa qualcosa di straordinario.
La memoria di un vecchio ha il valore di una biblioteca e nel caso dell'ultracentenario contiene storie antiche, come una scoperta archeologica.






Boris Pahor ha 106 anni, ne aveva cinque anni quando la sua famiglia fu colpita da virus della "spagnola". Vide morire una sorellina e lui stesso fu contagiato. Ora può fare il confronto tra due epidemie che si collocano a distanza di un secolo. In mezzo ci sono state le due guerre mondiali e le follie totalitarie. Da sloveno le ha conosciute entrambe. Ha conosciuto l'internamento nel campo nazista di Bergen-Belsen e poi i rigori e le censure del regime comunista che non gli perdonò la sua denuncia degli eccidi compiuti dai partigiani a cui lui stesso aveva aderito.

Nell'intervista a La Lettura (12 aprile) Pahor racconta l'incendio appiccato dai fascisti al Narodni dom, la casa di cultura slovena di Trieste. Era il 13 luglio 1920, quando i fascisti erano ben lontani dalla speranza di poter governare, ma avevano già iniziato la persecuzione delle minoranze.

E' molto significativo notare che l'autore di "Edvard Kocbek: testimone della nostra epoca" con cui aveva denunciato anche gli eccidi delle foibe ora scrive al Presidente Mattarella per chiedergli che in occasione delle giornate del ricordo, dedicate ai morti italiani nelle foibe, è inaccettabile che venga ignorato il male provocato dal fascismo.

Da Wikipedia apprendo che nel dicembre del 2009 rifiutò l'assegnazione del Sigillo Trecentesco che la città avrebbe voluto conferirgli senza citare nella motivazione le colpe del fascismo. Nel 2010 fu vittima di un dileggio con scritte inneggianti al fascismo sui muri dell'ex Narodni dom di Trieste. Qualcuno s'è fermato a cento anni fa, pronto a ripetere nuovamente le stesse efferatezze.

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