2 giugno 2020

Il 2 giugno

La Repubblica non è minacciata solo dal gravare del debito e dall'emergenza sanitaria. C'è un attacco esplicito contro l'idea che gli italiani possano continuare a godere dei vantaggi di un sistema democratico e oggi l'attacco proviene paradossalmente da chi si prepara alle commemorazioni del 2 giugno.

Tre esponenti politici, Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani, si sono visti rifiutare il permesso di depositare una corona di fiori al milite ignoto, e ora possono puntare il dito contro un governo che usa la propria autorità contro la libertà dei cittadini e contro il diritto di onorare la Repubblica.
Le fake-news si costruiscono anche così. Salvini è lo stesso che vorrebbe cancellare il 25 aprile o sostituire la festa della liberazione con una giornata dedicata alle vittime delle guerre e del coronavirus. Pochi anni fa affermava pubblicamente che il 2 giugno non c'è niente da festeggiare. No, non ha cambiato idea. La corona di fiori non l'avrebbe portata sulla tomba di un partigiano o su quella di un martire civile dell'antifascimo da cui è nata la nostra Repubblica. L'altare della patria è il luogo deputato alle cerimonie ufficiali, ma non è un altare repubblicano, il milite ignoto è un caduto della prima guerra mondiale, quel mazzo di fiori che si vorrebbe usare provocatoriamente per ergersi a vittime di un presunto autoritarismo, non sarebbe un omaggio alla repubblica democratica, ma solo un banale pretesto riciclabile anche in salsa patriottica o come si dice ora "sovranista".


Per commemorare il 2 giugno Salvini vorrebbe: "burocrazia zero, un anno di pace fiscale, taglio delle tasse al 15%, processi brevi...".   Ma perché non abolirle del tutto le tanto odiate tasse? perché non eliminarla completamente l'odiata burocrazia e lasciare tutti liberi di far quel che si vuole? perché non azzerare i processi e licenziare tutti giudici?

Sembra troppo difficile capire che quelle tasse mantengono ancora il funzione la sanità pubblica che ha dovuto fronteggiare la pandemia. Con quelle tasse si mantiene anche l'esercito e la polizia che Salvini sembrava stimare molto, a modo suo. Statalista e antistatalista, a fasi alterne, in base alla convenienza del momento.

L'Italia è una nazione che riesce ancora a presentarsi al mondo col volto seduttivo della moda, del design, dell'arte, delle canzoni, coi sapori della cucina mediterranea, col gusto di vini ineguagliabili, con la grazia amichevole del sapersi sempre adattare e arrangiare. Le bellezze italiane, quelle naturali e quelle monumentali, risplendono anche grazie alla luce della democrazia, perché la democrazia è libertà di pensare, di sognare, di viaggiare, di agire, di creare, di suonare... una libertà che ci ha portato benessere, nonostante tutto, nonostante l'ingiustizia generata dalle furbizie, nonostante la violenza oppressiva delle mafie, nonostante gli abusi di certe autorità, nonostante la corruzione pubblica e privata.

L'Italia democratica poggia su due piedi: il 25 aprile e il 2 giugno. La resistenza e la repubblica. La resistenza è stata il primo passo: il rifiuto del nazi-fascismo che è rifiuto del potere oppressivo, rifiuto della sopraffazione violenta, rifiuto delle guerre e del militarismo, rifiuto di essere pecore di un unico gregge che osanna un unico duce. La Repubblica è stata il secondo passo, quello che ha dimostrato la capacità di trasformare i valori democratici dell'antifascismo in regole e istituzioni.

La democrazia ci ha regalato libertà e benessere. Le regole della Costituzione democratica hanno generato i decenni del boom economico e hanno trasformato il paese in una grande forza produttiva (la quarta del mondo). Credo che il culmine sia stato raggiunto negli anni del nostro presidente partigiano, Sandro Pertini, che furono gli stessi anni in cui fu sgominato il verminaio della loggia segreta P2 e in Sicilia il giudice Rocco Chinnici organizzava gli uffici giudiziari per un efficace contasto al potere mafioso, mentre a Roma finivano in manette i gangster della banda della Magliana collusi con mafiosi, fascisti e istituzioni deviate.

L'immagine del presidente Pertini che esulta dagli spalti per la vittoria del campionato mondiale del 1982 è la migliore fotografia di quei momenti in cui ci sembrava di poter uscire dall'imbroglio degli "opposti estremismi" con cui s'era costruita la strategia della tensione.



Nel 1983 mentre 32 terroristi delle Br venivano portati alla sbarra, la Fiat presentava la Uno progettata da Giorgetto Giugiaro scegliendo l'avveniristico scenario di Cape Canaveral. Nello stesso anno lo stilista Gianni Versace veniva invitato a tenere una conferenza su Arte e Moda al Victoria and Albert Museum di Londra, e a Ravenna iniziava la strategia espansiva dell'impresa Ferruzzi guidata da Raul Gardini con l'intento di creare in Italia un grande polo produttivo nel settore chimico.

Oscuri nemici della democrazia avevano distrutto negli anni precedenti il sogno di fare dell'Italia il polo energetico del mondo commissionando l'uccisione Enrico Mattei; avevano distrutto il sogno di Adriano Olivetti di realizzare in Italia il centro creativo della grande rivoluzione informatica; avevano pagato il killer che sparò a Giorgio Ambrosoli, simbolo dell'onestà laboriosa e democratica; avevano fatto arrestare Baffi e Sarcinelli per nascondere le trame segrete di Gelli e Sindona; avevano stroncato nel sangue il percorso politico avviato da Aldo Moro, tuttavia non erano ancora riusciti a fermare il nuovo rinascimento italiano.

Accanto a questi nomi, che l'Italia dovrà sempre onorare, vorrei aggiungere anche quelli di due insigni giuristi che negli stessi anni lavoravano al perfezionamento delle istituzioni repubblicane: Massimo Severo Giannini col suo progetto di riforma della pubblica amministrazione e Giuliano Vassalli col suo progetto di nuovo codice penale. Entrambi partigiani come Enrico Mattei e come Sandro Pertini.

Poi qualcosa è successo. Il vento è cambiato. L'edificio repubblicano cominciò a mostrare vistose crepe. La segreta alleanza tra apparati statali corrotti, organizzazioni mafiose e imprenditoria parassitaria riuscirono a recuperare gli spazi che avevano perso. Due veleni furono inoculati nel nostro tessuto sociale: il primo passava attraverso la videocrazia con palinsesti che emarginavano le elaborazioni culturali e politiche per favorire la facilità, l'apparenza, l'effimero, il fasullo, il volgare; il secondo passava attraverso il giornalismo e gli insegnamenti universitari in cui si demonizzava l'equilibrio socio-economico basato sui modelli keynesiani di welfare-state e su rigide separazioni di potere volte a prevenire conflitti di interesse. All'ombra del riflusso culturale si impiantavano i semi dell'ideologia neoliberista sostenuta dalle strategie politiche della Lady di ferro, Margaret Thatcher, e dall'ex attore hollywoodiano Ronald Reagan. Dietro la maschera fittizia del libero mercato, teoricamente basato sulla concorrenza e sulla libera circolazione dei capitali, si cela un'ideologia di segno opposto pronta a sostenere gli accentramenti monopolistici, i trucchi finanziari, le prevaricazioni lobbystiche, la corruzione dei manager, il gioco sleale dei paradisi fiscali, le concentrazioni bancarie.

Il neo-liberismo è incompatibile con la visione liberale. Nel neo-liberismo non c'è spazio per gli argini richiesti dai sistemi liberali, non c'è più la logica del rischio e della responsabilità propria del sistema capitalistico borghese. Il turbocapitalismo non è una evoluzione del capitalismo, è la sua fine, segna il ritorno a logiche feudali non più basate sul valore borghese del merito personale (e forse sulla fortuna), ma basate solo sull'appartenenza familiarie alle dinastie della nuova nobiltà finanziaria fondata su un "merito" così come era fondata sulla volontà di Dio la nobiltà carolingia.

Il neoliberismo non promuove la trasparenza, non vuole libertà di stampa e di informazione, non accetta una redistribuzione di ricchezze volta a garantire a tutti condizioni di pari-opportunità. Vuole solo il riconoscimento del suo fondativo "merito" imprenditoriale. Il neoliberismo si traveste da "scienza economica" per imporsi come pensiero unico. "Non ci sono alternative" era il motto di Margaret Tahtcher. Il neoliberismo produce diseguaglianza e  asservimento. Il mercato dei neo-lib e dei neo-con non è governato dai principi di Adam Smith. La loro idea di libero mercato corrisponde ad un giordino privato blindato da regole e da trattati politicamente indiscutibili. In quel giardino globale sono chiamati ad operare obbedienti giardinieri che lavorano dentro i recinti costruiti da brevetti e copyright, privacy aziendale e sacralità del marchio. Sono i manipolatori delle borse e delle agenzie di rating, segretamente coadiuvati dai novelli 'bravi' armati di droni, di kalashnikov e di trattati economici internazionali con clausola isds (Investor-State Dispute Settlement).

Nel 1987 la misteriosa scomparsa di Federico Caffé, autorevole economista keynesiano, segna simbolicamente un punto di svolta, la fine del sogno liberaldemocratico travolto da una "lotta di classe al contrario". La caduta del muro di Berlino e i carrarmati in piazza Tien-an-men segneranno l'inizio di una nuova lotta di resistenza partigiana che tuttavia non si trova più a combattere contro le ben riconoscibili camice nere o le SS naziste. Non è più il camerata Kesselring a minaccaiare le nostre libertà, sono i ciambellani di corte che non indossano né la tonaca di un Mazzarino, né la divisa di Himmler o di Kappler. Vestono abiti borghesi, usano un linguaggio civile, sembrano quasi moderati, rassicuranti. Sono i Kissinger e i Brezniski, gli Huntington e i Fiedman, i Blair e i Clinton, i Cheney e i Ramsfield. Sono collocati a destra e a sinistra, raramente manifestano gli intenti chiaramente rezionari di un Bannon o di un Trump, di un Erdogan o di un Bolsonaro, ma sono tutti impegnati dalla stessa parte con metodi diversi che mirano al medesimo risultato politico.

Il neoliberismo usa molte maschere, le cambia ad ogni occasione. Non ci darà mai la visione mistica di un Terzo o Quarto Reich, buona soltanto per aggregare teppaglie da usare per le faccende più sporche. Non ci saranno norimberghe per celebrare i fasti del pensiero unico, non ci chiederanno di inchinarci davanti ai vessilli di Amazon e di Google, di Uber e di Monsanto, di Facebook e di Microsoft, di J.P. Morgan e di Goldman Sachs. la loro epopea viene celebrata in altri modi, meno diretti. Il neoliberismo preferisce Machiavelli a Goebbels. Continuerà a farci credere che i grandi profitti finanziari sono espressione di un  libero mercato in libera concorrenza, che non sono mai esistiti i mutui sub-prime, che non c'è mai stata la manipolazione del Libor, che non serviva a nulla l'argine del Glass-Steagall Act. Ci diranno che la deregulation è libertà, che i Panama-papers erano solo gossip, che la burocrazia è un nemico, e la trasformeranno in un vero ginepraio di trappole per convincerci che lo sia. Ci stanno già dicendo e mostrando che i parlamenti non servono a nulla e ancor meno le magistrature indipendenti e i sindacati di lavoratori. Per ogni problema c'è un'asociazione di volontariato, c'è una colletta spontanea, un solidarismo compassionevole. Per tutelare i diritti umani basta diffondere buoni sentimenti nelle cuole e nelle parrocchie. Gli squadristi di casapound ci daranno il buon esempio. Non più norme costituzionali, non più giudici del lavoro perché il lavoro retribuito è un odioso privilegio,  ognuno dev'essere imprenditore di se stesso.

Il neo-liberismo è un coavervo di dogmi. Nel neo-liberismo non c'è nulla di liberale, nulla di egualitario, nulla di democratico.

Dietro la falsa retorica del mercato e dei diritti umani c'è solo una nuova rappresentazione dell'antico patto tra il signore feudale e i suoi sudditi: sicurezza in cambio di obbedienza. La sicurezza ci viene offerta a caro prezzo durante le crisi. Il gran ciambellano del neoliberismo, Milton Friedman, ha teorizzato la tattica delle trappole illiberali da far scattare nei momenti di shock economico, quando le proposte più inaccettabili possono essere spacciate come sistemi di sicurezza. Mario Monti ha ribadito questo concetto agli italiani. Matteo Renzi, su consiglio di J.P. Morgan, ha cercato di ridisegnare il sistema politico italiano. Fortunatamente non è riuscito a cambiare la Costituzione ma ha portato le logiche gerarchiche dell'aziendalismo dov'erano logiche democratiche, l'ha fatto nel lavoro, nelle relazioni sindacali, nella scuola, nella sanità arrivando perfino a cedere i dati sanitari degli italiani a una grande impresa americana.

Occorre resistere, resistere, resistere. Dobbiamo diventare partigiani a guardia della Costituzione. Dobbiamo tenere saldi i valori democratici. Dobbiamo vigilare giorno e notte sui diritti di tutti. E dobbiamo imparare a riconoscere i nemici del sistema democratico anche quando si atteggiano a liberali e si dicono vittime di soprusi, loro che del sopruso vorrebbero far sistema.

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