3 febbraio 2018

La storia in manette

La Polonia ha approvato una legge che vieta di attribuire ai polacchi responsabilità per gli eccidi antisemiti durante la seconda guerra mondiale.

In Polonia i campi di sterminio (Auschwitz, Birkenau, Treblinka, Plaszow, Majdanek ...) furono realizzati dai nazisti tedeschi a cui va attribuita la responsabilità diretta del genocidio. Non sembra esserci nessuno che possa negarlo, chi volesse provarci da oggi incorrerebbe in una pena come accade in altri paesi che considerano un crimine la diffusione di teorie "negazioniste". Ma è giusto stabilire limiti legali alle opinioni politiche o alle interpretazioni di eventi storici?


Dev'essere chiaro che in democrazia nessuna verità storica può essere stabilita per legge. La verità è una categoria filosofica che non può appartenere al diritto. L'idea di blindare una verità con sanzioni penali è titpica dei regimi totalitari. Nella Russia stalinista si utilizzavano le teorie di Lysenko per stabilire ciò che era scientificamente vero, analogamente le leggi razziali fasciste del 1938 si richiamavano a una pretesa "scientificità" delle razze umane e di razze inferiori.

Per non ricadere negli errori del passato è importante stabilire che alla ricerca scientifica devono provvedere gli scienziati e devono farlo con mente aperta, cioè sapendo che ogni teoria può essere confutata. Le verità scientifiche sono sempre provvisorie, altrimenti sarebbero dogmi inconciliabili col metodo scientifico. Il diritto non può ostacolare la ricerca né può pretendere di cristallizzarne i risultati.

Per la storia vale il medesimo argomento. Non può essere la legge a scrivere la storia. Inoltre dobbiamo accettare l'idea che qualunque ricostruzione e interpretazione di fatti storici può essere sempre criticata e sottoposta a revisione. Ciò avviene continuamente nel mondo accademico. La ricerca storica non si ferma mai e deve restare libera.

Art. 33 - L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.  
(Costituzione della Repubblica Italiana

Le teorie negazioniste vanno quindi rispettate come ricostruzioni storiche alternative? No, perché non sono ipotesi alternative. I negazionisti si limitano a negare alcuni fatti, ritengono che le testimonianze delle vittime siano menzognere, mentre quelle dei carnefici sarebero state estorte, ritengono che certi edifici siano stati realizzati appositamente per falsificare la storia, rifiutano di valutare la dimensione complessiva del fenomeno. Per loro, dalla teoria razzista alla pratica, dai rastrellamenti alle deportazioni di massa, tutto sarebbe falso. Una fantastoria inventata dai vincitori per incolpare i vinti di orrori mai avvenuti. Ovviamente non esiste alcuna traccia delle presunte falsificazioni, neanche un testimone contro le migliaia di sopravvissuti che hanno potuto raccontare gli orrori.

Il negazionismo si fonda su un dogma per cui la storia raccontata dai vincitori è necessariamente falsa, anche se confermata dai testimoni di entrambe le parti, anche se trova pieno riscontro nei documenti e nei reperti. Per effettuare il loro rovesciamento non hanno bisogno di dimostrare nulla, non hanno bisogno di confrontarsi coi superstiti, non hanno bisogno di dare una spiegazione ai treni piombati che partivano da ogni parte d'Europa, a loro basta rilevare, qua e là, qualche piccola incongruenza per avere la certezza che tutto è falso.

Il negazionismo è un atteggiamento politico, non è opinione storica. E' il medesimo atteggiamento con cui Hitler bollava come false la teoria relativistica di Einstein: "l'ha inventata un ebreo quindi è sbagliata" - "lo dicono gli americani quindi è falso". Un esponente di FN ha recentemente dichiarato in un programma radiofonico che nei lager nazisti c'erano cinema, piscine e concerti di musica classica. Lui non è mai stato a visitare un lager,  ma lo sa perché la generosità umana dei nazisti non richiede alcuna prova.

Negare senza offrire alternative possibili non è un modo per fare ricerca storica, ma è un ottimo modo per offendere tutti coloro che portano addosso le ferite fisiche e morali di quello che è accaduto. Ferite che si riaprono, non soltanto quando si viene trattati da bugiardi, ma soprattutto quando ci si augura, come fanno quasi tutti i negazionisti, che la caccia possa ricominciare, che le persecuzioni possano essere nuovamente legittimate.

Per condannare le ingiurie e le offese non è necessario possedere una verità. Quando l'offesa è evidente prescinde da ogni verità. Se dico a una bambina "cicciona di merda fai schifo!" non posso invocare l'assoluzione per il fatto che quella bambina è realmente sovrappeso. E' sufficiente constatare l'offesa nel contesto in cui è stata pronunciata. Così dev'essere anche per il negazionismo che afferma l'esistenza di un grande complotto organizzato per oscurare la verità e costruire una gigantesca menzogna. Oscure trame di sionisti e massoni avrebbero orchestrato una strategia di inganni con la complicità intenzionale dei deportati e degli internati, autori o complici di bugie, falsari e approfittatori. L'offesa alla dignità delle migliaia di persone che portano ancora nella propria carne i segni delle persecuzioni è un'offesa pesante. La punibilità non contrasta coi principi democratici.  La condanna del negazionismo è giusta perché tende a proteggere le vittime da una colpevolizzazione che rischia di riproporre i medesimi pregiudizi che hanno generato gli eccidi.

La ricerca storica non c'entra niente. La condanna del negazionismo non impedisce agli storici di fare il loro lavoroed eventualmente di riesaminare fatti e prove. Finché non emergeranno fatti nuovi o nuove prove gli assunti negazionisti restano pure e semplici offese che si basano su una matrice ideologica o complottista. L'opportunità di perseguirle penalmente è opinabile, l'associazione degli avvocati penalisti italiani si è espressa in senso contrario e con diversi argomenti anche gli storici si sono opposti. Il reato di "negazionismo" può non essere la risposta più opportuna, però si fonda su un civile principio di rispetto umano che non interferisce con la libertà di pensiero e neanche con la libertà di ricerca storica.

Chi fosse seriamente convinto che l'Olocausto sia sorto da una grande congiura attuata tra migliaia di persone di diverse nazionalità deve cercare di dimostrarlo con i mezzi e nei luoghi della ricerca storica, dove nessun giudice potrà introdursi per stabilire ciò che è vero o falso. Finora non c'è stato nulla che possa far seriamente sostenere l'esistenza della grande falsificazione. 

Quando saranno scomparsi i superstiti della Shoà e i loro congiunti che ne hanno indirettamente sofferto, allora il "negazionismo" sarà trattato in altro modo. Negare l'olocausto sarà come negare le guerre puniche. La storia si potrà esaminare senza il rischio di riaprire le piaghe fisiche e morali delle vittime. Adesso non si può. 

Torniamo ora ai polacchi. La loro legge vuol essere un ulteriore argine al negazionismo? No, nessuno nega che i campi di sterminio in Polonia siano stati costruiti e gestiti dai tedeschi, però qualcuno nega che siano stati solo i tedeschi ad avere atteggiamenti discriminatori. Per avere un'idea del problema basta leggere quel che si conosce dei fatti di Jedwabne. Un episodio significativo. Possiamo farlo consultando wikipedia e vedremo facilmente che la vicenda non è chiara. E' molto difficile distinguere le responsabilità dei soldati nazisti, che hanno sicuramente istigato i residenti, da quelle dei civili polacchi che hanno partecipato al pogrom. Furono costretti? Chi può darci la sicurezza che furono solo i tedeschi a ideare e dirigere tutta la vicenda? La legge polacca sembra davvero un bavaglio alla ricerca della verità. Non è posta a tutela delle vittime, vuol prestabilire una verità storica e blindarla ("tutta la colpa è solo dei tedeschi")

Le proteste di Israele mi sembrano ben giustificate perché una limitazione alla ricerca storica realizza l'effetto contrario rispetto alle norme che vietano il negazionismo, si finisce col dare una protezione ai veri responsabili, se ce ne sono, che operarono al di fuori dei ranghi militari nazisti. Stupisce però che a protestare non ci sia anche il mondo accademico.

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