Se l'idea era quella di dare qualcosa a chi non ha nulla, l'intento riguardava un'elemosina. Quando è lo Stato a concederla si chiama sussidio.
E' giusto dare un sussidio ai bisognosi, che però non è un reddito e non lo diventa. Non si può chiamare così perché un REDDITO è il risultato economico corrispondente ad una prestazione lavorativa, un servizio, una proprietà, una concessione, ecc.
REDDITO: l’utile che viene dall’esercizio di un mestiere, di una professione, di un’industria, da un qualsiasi impiego di capitale. (Dizionario Treccani)Chiamare reddito una somma che non corrisponde ad alcuna dazione significa voler dare l'impressione di fare qualcosa di sbagliato, qualcosa che appartiene alla logica del dono. Il dono è un bel gesto che ognuno può fare a chi vuole, ma non impiegando soldi pubblici. Se poi il sussidio vogliamo darlo solo ai poveri e ai disoccupati, non a tutti gli italiani, allora non si può chiamare sussidio di CITTADINANZA perchè altrimenti tutti i cittadini a cui non viene dato si sentono defraudati.
Come avrebbero dovuto chiamarlo?
Proviamo a guardare altri vocaboli nel dizionario Treccani:
SOVVENZIONE: L'aiuto economico, sotto forma di elargizione (...) per assicurare lo svolgimento o il proseguimento di una attività.
In particolare, si chiama sovvenzione sia il SUSSIDIO corrisposto dalla pubblica amministrazione a privati in caso di calamità e gravi avversità, sia il complesso delle erogazioni pecuniarie elargite dallo Stato e dagli enti pubblici a imprese private senza l’obbligo di restituzione, sulla base di apposite norme...
INDENNITA': Corrispettivo stabilito in favore di chi, per interessi generali, subisce il sacrificio di un diritto.
PENSIONE: Forma di remunerazione postlavorativa, generalmente di natura pubblica.
PENSIONE SOCIALE: Prestazione di natura assistenziale destinata a tutti i cittadini italiani sprovvisti di reddito, o con redditi di importo inferiore ai limiti stabiliti dalla legge, che abbiano compiuto l’età di 65 anni e che siano residenti abitualmente in Italia.Per la pensione sociale non era richiesta una contribuzione perciò non rientrava tra gli strumenti di previdenza, era un sussidio di natura assistenziale che lo Stato pagava agli indigenti tramite l’INPS. Forse è questa la misura che più si avvicina all'idea di un sostegno per tutte le persone in stato di bisogno, tuttavia la parola "pensione" è usata con riferimento ad una certa anzianità, non viene mai impiegata neanche per l'assistenza ai disabili.
Per dare il nome a qualcosa è necessario conoscere la cosa che si vuol denominare. Per capire cos'è in realtà lo strumento finanziario a cui è stato dato il nome di Reddito di Cittadinanza è necessario vedere in quale contesto e con quali scopi è stato inserito.
Quanti e quali sostegni assistenziali esistono in Italia?
Fino al 2018 in Italia c'erano già vari tipi di ammortizzatori sociali. Tentare di capirci qualcosa è un po' come entrare in una giungla. Proviamoci.
Per non perdersi possiamo distinguere almeno quattro diversi livelli:A) CASSA INTEGRAZIONE (CIGO e CIGS)
A) i lavoratori a rischio dell aziende in crisi (Cassa integrazione);
B) color che ormai il lavoro l'hanno perso (mobilità o disoccupazione);
C) chi il lavoro non l'ha mai trovato oppure ha lavorato in nero oppure ha esaurito i sussidi precedenti;
D) chi non è neanche in condizioni per poter lavorare.
La Cassa Integrazione Guadagni è un ammortizzatore sociale istituito nel 1945 per dare un sostegno alle aziende che si trovano costrette a sospendere alcuni lavoratori o ridurne l'orario a causa di difficoltà di carattere temporaneo. L'integrazione va quindi in tasca a lavoratori che sono ancora sotto contratto, non riguarda i disoccupati, bensì gli occupati. Non è l'unico, negli ultimi anni si sono aggiunte altre misure simili che per brevità qui non prenderò in considerazione (Contratti di solidarietà, Fondi di solidarietà, Accordi di transizione, ecc.)
Dopo le varie modifiche intervenute negli anni il D. Lg. 148/2015 ha disposto un riordino generale degli ammortizzatori sociali.
Esistono due tipi di Cassa Integrazione, ordinaria e straordinaria:
1) se le difficoltà sono dovute a cause esterne all'azienda (eventi straordinari, avversità climatiche, crisi di mercato) si può ricorrere alla cassa integrazione ordinaria (CIGO);
2) se la crisi è dovuta a fattori interni che richiedono una riconversione della produzione o una ristrutturazione organizzativa, l'azienda potrà rivolgersi alla cassa integrazione straordinaria (CIGS).
La CIGO è concessa per qualche mese e può essere prorogata al massimo fino ad un anno. La CIGS è concessa anche per 12 mesi, prorogabili fino a 24 e solo nel caso di contratti di espansione fino a 36 mesi, ma riguarda solo le aziende che hanno più di 15 dipendenti (salvo eccezioni per alcuni settori) e che presentano un piano di riconversione o ristrutturazione.
L'INPS versa le somme alle aziende che sono tenuta ad anticiparle ai lavoratori destinatari dell'integrazione. La misura dell’indennità è pari all’80% della retribuzione, fino ad un massimo di 1.199,72 euro. La tassazione ridotta al 5,84% consente in molti casi di avvicinare gli effetti dell'integrazione alla retribuzione intera spettante al lavoratore.
Recentemente è stata estesa anche ai lavoratori a domicilio e agli apprendisti, ma non spetta invece a stagisti e tirocinanti.
Per accedere a questo tipo di sussidio l'azienda deve fare richiesta all'INPS indicando le cause della crisi o della ristrutturazione aziendale. Il sussidio quindi non è un diritto che consegue automaticamente alle condizioni di difficoltà aziendale, si tratta di una concessione elargita con decreto ministeriale.
In conclusione la Cassa Integrazione non è per qualsiasi azienda e non per tutti quelli che perdono il lavoro, ma solo per chi ha avuto la fortuna di lavorare con un'azienda che può e che riesce a farsi concedere il sostegno statale. Chi non ha questa fortuna sarà licenziato per riduzione di personale o chiusura dell'azienda e potrà chiede una indennità di disoccupazione. Chi invece ha usfruito dell'integrazione ma alla fine non è riuscito a riprendere il suo lavoro potrà chiedere l'indennità di mobilità.
B1) INDENNITA' di DISOCCUPAZIONE - (NASPI)
nasce nel 1919, ma non come diritto, bensì come assicurazione contro un rischio del lavoratore. La logica era quella della cassa mutua, un sistema attuato già dall'ottocento che consentiva ai lavoratori di assicurarsi anche per infortuni e malattie (vi ricordate il medico della mutua?). Quindi non tutti sono assicurati per il rischio disoccupazione.
FORNERO - Questa logica permane fino alla riforma Fornero del 2012, quando l'indennità che fino ad allora era riservata ai soli dipendenti di aziende iscritte ad una particolare gestione INPS, viene abolita e sostituita dalla Assicurazione Sociale per l'Impiego (ASPI e MiniASPI) che va a sostituire sia la precedente l'indennità ordinaria, sia l'indennità di mobilità che esisteva del 1991. Qualche forma di mobilità (per esempio nel settore edile) è sopravvissuta fino al 2017.
Con la Fornero la nuova indennità ASPI si estende ai lavoratori dipendenti di quasi tutti i settori produttivi, ma continua a riguardare solo chi perde il lavoro dopo un certo periodo di contribuzione e per cause non dipendenti dalla propria volontà. L'indennizzo è commisurato al 75% della retribuzione per un periodo massimo di 12 mesi, che può arrivare a 18 mesi per gli ultra 55enni. Non arriverà mai ai 48 mesi che si potevano ottenere con la mobilità. Per i lavoratori del settore agricolo c'è una forma particolare legata alla stagionalità. Per i dipendenti pubblici c'è una sorta di mobilità biennale all'80% prevista dalla legge del pubblico impiego.
JOBS ACT - Nel 2015 interviene il D.Lgs. 22/2015 che ha l'ambizione di riordinare tutto il sistema del lavoro creando tutele uniformi per tutti i lavoratori. L'indennità di disoccupazione diventa così
"Nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego" (NASPI). La tutela già estesa agli apprendisti e ai soci delle cooperative viene confermata, poi c'è il DIS-COLL per gli autonomi con contratti di collaborazione (co.co.co. e co.co.pro). La durata della copertura assicurativa dipende anche dal periodo di contribuzione, ma è comunque limitata. Chi non ha raggiunto almeno 13 settimane di contribuzione negli ultimi 4 anni non ottiene nulla.
Purtroppo neanche la NASPI può essere considerata una garanzia universale: non include il settore agricolo e neanche il pubblico impiego, ma soprattutto perché limitata nel tempo. Inoltre lascia senza protezione alcune categorie di lavoratori precari: quelli che non raggiungono i periodi minimi di contribuzione, quelli costretti a lavorare "a partita IVA" come finti piccoli imprenditori, fenomeno diffuso tra i driver di Deliveroo, Glovo, Uber, ecc.
La NASPI ha natura di indennità perciò continua ad escludere coloro che un lavoro non l'hanno mai trovato e chi ha dovuto lavorare sempre in nero.
In teoria una indennità dovrebbe solo compensare un danno o una perdita, invece la NASPI persegue anche altri fini, è un ibrido perché è subordinata ad obblighi di formazione e di accettazione di eventuali chiamate al lavoro.
L'obiettivo di una assicurazione universale e uniforme resta solo un bel proposito. Di fatto col JOBS ACT è stata confezionata una coperta fatta di tanti ritagli che continua a lasciare diverse zone scoperte. E subito ricominciarono a mettere pezze al sistema: ASDI, SIA, REI e compagnia cantando.
Con la NASPI i lavoratori licenziati da grandi aziende in crisi sembrano avere una tutela più limitata della vecchia indennità di mobilità. La logica perseguita dal Jobs Act non è quella di ampliare le tutele o di creare una tutela universale basata su un meccanismo di tutele crescenti (dove il giovane è meno tutelato perché riuscirà più facilmente ad essere ricollocato). La vera logica sembra essere quella di un cuscinetto che rende meno traumatico il licenziamento che lo stesso Jobs Act cercava di liberalizzare (l'abolizione dell'art.18 SdL ha eliminato la possibilità di reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento ingiustificato).
B3) ASSEGNO DI DISOCCUPAZIONE (ASDI) -
Anche questo assegno riguarda chi ha perso il lavoro e non chi non l'ha mai avuto. Viene concesso a chi ha già percepito l'indennità NASPI per la sua intera durata senza riuscire a trovare un nuovo impiego, ma non viene concesso a tutti. Condizioni: occorre aver compiuto i 55 anni oppure avere un figlio minorenne e un reddito ISEE inferiore a 5mila euro.
L'indennità e l'assegno di disoccupazione hanno riassorbito l'altro ammortizzatore sociale che si chiamava "indennità di mobilità" di cui usufruivano i cassaintegrati che non erano stati riammessi al lavoro al termine del periodo di crisi aziendale. La mobilità era quindi una misura limitata ad alcune categorie di disoccupati, ma aveva il vantaggio di una lunga durata (esisteva la mobilità lunga e la mobilità in proroga).
Sorvoliamo qui sul'"Assegno di solidarietà", sull"Assegno emergenziale/integrativo per i licenziati da aziende iscritte ai fondi di solidarietà", nonché sul FIS (Fondo di integrazione salariale)", sull'"Assegno temporaneo della Gestione Assistenza Magistrale"
C1) SOSTEGNO PER INCLUSIONE ATTIVA (SIA) -
La prima misura di sostegno che prescinde dalla qualifica di lavoratore è il SIA che spetta alle famiglie in condizione di povertà, ma non tutte, solo quelle con figli minorenni o disabili o una donna in stato di gravidanza. E ci sono anche altre condizioni. Per ottenere il sostegno occorre "aderire ad un progetto personalizzato di attivazione sociale e lavorativa sostenuto da una rete integrata di interventi, individuati dai servizi sociali dei Comuni (coordinati a livello di Ambiti territoriali), in rete con gli altri servizi del territorio (i centri per l'impiego, i servizi sanitari, le scuole) e con i soggetti del terzo settore, le parti sociali e tutta la comunità".
C2) REDDITO DI INCLUSIONE (REI) -
istituito dal D.Lgs 147/2017 (DDL Povertà) prevedeva assegni di sostentamento per le famiglie che nella giungla degli ammortizzatori non avevano diritto a nulla e sarebbero rimaste al di sotto della soglia minima di povertà. Condizioni: anche il REI (che poi è stato assorbito dal Reddito di Cittadinanza) era legato all'adesione ai progetti degli enti locali.
C3) PENSIONE O ASSEGNO SOCIALE
Dal 1969, fino al 1995 esisteva la pensione sociale per i cittadini che all'età di 65 anni non avevano maturato contributi sufficienti a generare un trattamento pensionistico e non percepivano altri redditi. La riforma Dini del 1995 l'ha trasformato in assegno sociale e dal 2011 l'ambito di applicazione è stato ridotto.
Si tratta di un assegno provvisorio di circa 400 euro mensili a cui possono essere aggiunte maggiorazioni in presenza di particolari condizioni. Il controllo delle condizioni reddituali è annuale. L'assegno può essere concesso anche agli stranieri titolari di permesso di soggiorno che hanno risieduto legalmente in Italia per almeno 10 anni.
D1) ASSEGNO DI INVALIDITA' CIVILE
Spetta agli invalidi parziali di età compresa tra i 18 e i 67 anni, con una riduzione della capacità lavorativa compresa tra il 74 e il 99% e non raggiungono alcune soglie reddituali.
Per l’anno 2021 l’importo dell’assegno mensile è di circa 290 euro. Condizioni: se l'invalido gode già di un reddito personale annuo di 5mila euro l'assegno non spetta.
Al compimento dei 67 anni si trasforma in assegno sociale sostitutivo.
D2) INDENNITA' DI ACCOMPAGNAMENTO
L’indennità di accompagnamento spetta ai mutilati o invalidi totali per i quali è stata accertata l’impossibilità di deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore oppure sono incapaci di compiere gli atti quotidiani della vita. L'indennità di accompagnamento ammonta a poco più di 500 euro per gli invalidi civili e supera i 900 euro per ciechi assoluti. L'indennità spetta solo ai residenti in forma stabile in Italia e indipendentemente dal reddito personale e dall’età.
* * *
L'elenco proposto è sicuramente incompleto, ma basta a far comprendere quale ginepraio è stato costruito per elargire poche elemosine ad un limitato numero di persone.
La complessità del sistema non ha solo il difetto di non riuscire ad assicurare un paracadute sociale a tutti quelli che vengono a trovarsi in situazioni di grave indigenza, un sistema così intricato e farraginoso, dove ogni sussidio è sottoposto a varie condizioni, tutte da verificare e controllare periodocamente, produce anche altre conseguenze:
1 - molte persone che avrebbero diritto di percepire un sostegno non lo sanno, oppure non riescono ad adempiere a tutte le richieste burocratiche. In tal modo il sostegno non raggiunge lo scopo per il quale era stato istituito.
2 - il costo degli apparati burocratici necessari a gestire le complesse procedure, ad effettuare i controlli e a provvedere ai pagamenti nella misura corretta, diventa un costo sproporzionato rispetto alla erogazione del sussidio. In qualche caso il costo di gestione potrebbe superare l'intero ammontare delle sovvenzioni.
3 - le procedure complesse, soprattutto se sottoposte a troppe condizioni che comportano verifiche presso altri enti e altre amministrazioni, creano difficoltà che talvolta si traducono in ritardi e omissioni, in altri casi i controlli si fanno solo a campione o non si fanno e così si apre la strada agli abusi.
Un sussidio unico sottoposto a poche chiare condizioni per tutte le famiglie che non raggiungono la soglia di povertà riuscirebbe sicuramente a coprire meglio il fabbisogno, se ne vedrebbero anche i benefici sociali e non solo quelli individuali di chi percepisce il sussidio: meno accattonaggio, meno delinquenza, meno disagi psicologici, meno liti familiari, ecc.. Però l'Italia è culturalmente incapace di farlo. Non c'è riuscita neanche introducendo il Reddito di Cittadinanza.
Il Reddito di Cittadinanza è un ibrido tra un sussidio di disoccupazione e una pensione sociale. Rispetto all'indennità di disoccupazione, che indennizzava il lavoratore licenziato, si includono anche coloro che non hanno mai lavorato; rispetto alla pensione sociale, che era limitata ai soli anziani, si includono anche persone giovani che per varie ragioni non sono in condizioni di svolgere un lavoro. Non è un caso che la L.29/2019 ridefinisce il RdC come "Pensione di cittadinanza" quando ad usufruirne sono gli ultra 67enni. Però il RdC presenta anche i caratteri di una sovvenzione alla ricerca di occupazione.
In teoria il RdC avrebbe dovuto coprire tutte le situazioni di povertà che sono escluse da altri tipi di sussidio. La denominazione di RdC richiama l'idea del Reddito Universale, idea che evoca una distribuzione delle ricchezze non correlata a prestazioni lavorative o attività produttive (sul tema un interessante articolo di Eleonora Priori) ma di fatto in Italia col RdC s'è aggiunta solo l'ennesima pezza allo scatafascio di ammortizzatori sociali già esistenti. La complessità del sistema non è stata ridotta, se non in piccola parte. Inoltre anche il RdC è subordinato a molteplici condizioni da verificare e monitorare. Oltre alle condizioni reddituali è previsto l'obbligo di accettare le proposte di lavoro.
Questa condizione di incentivo al lavoro sembra imprescindibile nell'attuale contesto politico e culturale del paese. Infatti, nonostante l'obbligo di accettare le proposte di lavoro e la previsione di nuovi sistemi di facilitazione (i c.d. navigator), il RdC è tuttora fortemente avversato a causa di una percezione negativa dell'assistenzialismo: dare assistenza a chi si trova in situazione di difficoltà economica è equiparato all'idea di voler retribuire l'ozio. Si tratta di un pregiudizio molto diffuso che non sarà facile estirpare.
Nessun commento:
Posta un commento