Il dizionario Treccani definisce il "politicamente corretto" (politically correct) come orientamento ideologico nato nella sinistra americana degli anni trenta del Novecento, poi amplificato negli anni sessanta fino ad assumere dimensioni significative sul finire degli anni ottanta.
Tale orientamento tende ad espellere dal linguaggio tutte le parole che possono risultare offensive, non rispettose o rivelatrici di pregiudizi.
Alcuni esempi sono ben noti. Il politicamente corretto sostituisce il termine "nigger", che designava in America le persone di colore, con "black" evitando così un implicito richiamo alla condizione di schiavitù presente negli stati del sud, dove la lingua era stata influenzata dallo spagnolo. Questa correzione è stata poi importata anche nella nostra lingua sostituendo "negro" con "nero".
In altri casi le parole sono ritenute scorrette per altre ragioni, ed ecco che il cieco diventa non-vedente, il minorato fisico diventa disabile e poi diversamente abile, lo spazzino diventa operatore ecologico, il fornaio diventa panettiere.
Ci si chiede se l'adeguamento della lingua alle regole del rispetto possa davvero eliminare il pregiudizio o non sia solo un modo per nasconderlo sotto un velo di ipocrisia.
La promozione della lingua politicamente corretta si è estesa negli ultimi decenni anche all'ambito della parità di genere col tentativo di imporre regole non prive di contraddizioni.
L'eliminazione dell'articolo davanti ai cognomi di donna tende a far sparire la differenza di genere (non diremo più la Montessori, ma semplicemente Montessori, per uniformarci al cognome maschile normalmente privo di articolo), invece nell'indicazione della professione o della carica la differenza di genere dovrebbe essere evidenziata (la ministra, se donna, evitando il maschile universale di ministro). L'italiano conosceva già la declinazione al femminile per alcune cariche o professioni (presidentessa, avvocatessa, professoressa), ma il politicamente corretto interpreta negativamente il suffisso -essa e vorrebbe imporre la presidenta, l'avvocata, la professora, la sindaca, la magistrata e vorrebbe anche sostituire la direttrice con la direttora. A molti questa pretesa sembra voler imporre un brutto appiattimento della lingua che non avrà alcun effetto migliorativo nei rapporti personali.
La pretesa di voler distinguere i generi con una artificiosa simmetria di vocali potrebbe costringerci tra poco a dover inserire nel vocabolario il farmacisto, il dentisto e il musicisto per le professioni esercitate da un uomo. Si scade nel ridicolo e se tutto questo può essere considerato utile a contrastare il sessismo, sicuramente lo si fa con poco rispetto dell'eleganza linguistica. Ma il punto più estremo del politicamente corretto lo troviamo in un tentativo di segno totalmente contrario, volto a celare le differenze di genere piuttosto che a marcarle, è il caso della sostituzione dell'ultima vocale, maschile o femminile, con qualcosa di neutro e impronunciabile, un asterisco o lo schwa.
A prescindere dal giudizio di chi vede nel politicamente corretto un naturale adeguamento del vocabolario al mutamento dei rapporti personali e di chi invece lo considera uno stupido tentativo di corruzione della lingua, si ritiene che la tendenza sia stata imposta da una visione ideologica della sinistra e oggi sembra essere diventato il tratto distintivo di chi si colloca politicamente a sinistra. L'opinione è diffusa ma finora non trova molta corrispondenza nell'esperienza quotidiana. Non sembra affatto che tra gli elettori di sinistra queste innovazioni trovino consenso, sicuramente manca una effettiva adesione.
La sinistra è tale per la sua volontà di ridurre le differenze sociali, eliminare le disuguaglianze e le discriminazioni, perciò non stupisce che il politicamente corretto sia sorto in ambienti di sinistra, tuttavia è chiaro che mancherebbe tutti i suoi obiettivi se la sinistra volesse perseguire un'uguaglianza solo formale.
Il socialismo nasce storicamente dalla richiesta di uguaglianza sostanziale, perciò la sinistra da sempre rifiuta la finzione, il contentino, la pacca sulla spalla accompagnata da un complimento che non riduce la sostanziale disuguaglianza tra i ceti sociali. Ecco perché, nell'esperienza pratica, è difficile trovare il proletario che bada al politicamente corretto, il fornaio che non vuole essere chiamato fornaio o il cieco che non vuol'essere chiamato cieco (non è un caso che in Italia esiste ancora l'Unione Italiana Ciechi e non l'Unione Non Vedenti).
Il politicamente corretto è stato costruito a tavolino senza interpellare i diretti interessati e spesso senza tenere in alcun conto le naturali ambiguità delle parole: zingaro ed ebreo sono termini che possono essere usati alla stregua di insulti, ma indicano anche culture storicamente imporanti in cui molti si possono riconoscere con orgoglio. Quale senso avrebbe la cancellazione di queste parole?
Le questioni del politicamente corretto si pongono soprattutto a livello di discussione identitaria tra esponenti politici in cerca di visibilità mediatica e nelle polemiche artificiosamente create dal giornalismo. Inoltre è evidente che le punte più estreme (e talvolta contraddittorie) emergono in questi ultimi decenni caratterizzati dell'affermazione ideologica della narrazione neoliberista, cioè a partire dagli anni ottanta.
Il neoliberismo persegue obiettivi opposti a quelli della sinistra, tende a magnificare le disuguaglianze socio-economiche in ossequio ai principi di libertà e di merito individuale. E' il neoliberismo che necessita di una maschera di uguaglianza formale per celare la propria natura reazionaria.
Quanto più gli sforzi della sinistra si orientano verso rigorosi equilibri formali, tanto più la destra potrà proseguire indisturbata nella demolizione del welfar-state e nella progressiva riduzione dei diritti sociali. A tal fine il politicamente corretto è il perfetto cavallo di Troia, confezionato dagli strateghi del pensiero unico per indebolire le vere istanze sociali della sinistra. Attenzione, non si tratta semplicemente di un distrattore che orienta le forze politiche di sinistra verso questioni linguistiche o di principio socialmente ed economicamente inutili, il politicamente corretto è un vero cavallo di Troia che contiene al suo interno agenti distruttivi. Attraverso i mezzi di informazione, che sono tutti controllati dai potentati finanziari, è possibile confinare i discorsi degli esponenti della sinistra nell'ambito del politicamente corretto (a cui essi non potrebbero sottrarsi senza rinnegare i propri principi di egualitarismo) e spingerli verso le soluzioni estreme con cui si rendono ridicoli agli occhi dei potenziali sostenitori. Così la sinistra si è fatta cucire addosso l'abito ipocrita del radical-chic. E' una strategia vincente del neoliberismo che ha dirottato masse di elettori che si riconoscevano nella sinistra verso i suoi fidi alleati travestiti da destra sociale o da agitatori populisti.
Si dirà che non sembra politicamente corretta una strategia che vedrebbe la destra nutrire, coi potenti mezzi di comunicazione di massa, una tendenza che apparteneva alla sinistra per spingerla verso gli esiti più estremi, ma nella lotta politica, al pari di ogni guerra, tutti i mezzi sono leciti e l'inganno fin dai tempi della guerra di Troia è sempre stato l'arma più efficace.
La strategia è riconoscibile perché il politicamente corretto è utilizzato dalla destra anche in altri ambiti, dove non scade mai nel ridicolo. Il dizionario Treccani ci fornisce al riguardo alcuni esempi: danni collaterali (collateral damages) per «strage di civili»; neutralizzare il nemico per «uccidere»; guerra preventiva per «aggressione militare». Gli eufemismi citati (a cui si potrebbero aggiungere le missioni di pace) non vengono utilizzati solo in ambito militare, dove purtroppo la confusione tra destra e sinistra è tale da farli sembrare cointeressati al bellicismo. Analoghi eufemismi sono utilizzati anche in ambito sociale: inclusione è il termine che viene utilizzato (anche) per giustificare la progressiva riduzione dei livelli di apprendimento nella scuola pubblica a totale discapito dei ceti meno abbienti; libertà di scelta è il termine con cui viene promosso il finanziamento pubblico delle scuole private più elitarie; integrazione è il termine con cui si impone l'omogeneità culturale; educazione finanziaria è il nome assegnato all'indottrinamento ideologico che il neoliberismo si appresta ad introdurre nelle scuole.
Dunque c'è un politicamente corretto usato come espediente linguistico volto ad edulcorare scelte eticamente poco digeribili, e c'è un politicamente corretto appositamente confezionato per orientare la sinistra verso il baratro della cultura woke. Ne consegue che oggi identificare la sinistra col politicamente corretto significa confondere Troia col cavallo di Troia. Get woke, go broke. Se la sinistra non ascolta questo monito contribuisce inconsapevolmente alla costruzione di un simulacro ideato dalla destra neoliberista.
Purtroppo cadono nell'errore sia gli elettori che si sentono traditi e disgustati dall'abbandono delle tutele del lavoro, della salute, dell'istruzione ecc, sia gli esponenti politici incapaci di respingere come fuorvianti le questioni del politicamente corretto. I primi rischiano la deriva qualunquista (la sinistra non c'è più, è diventata uguale alla destra, se non peggio); i secondi, nel volersi mantenere fedeli al rispetto formale di ogni minoranza, non riescono a restituire al mittente il cavallo di Troia. Gli uni e gli altri andranno inconsapevolmente a rafforzare le strategie neoliberiste.
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