Il governo di Mario Draghi è arrivato al capolinea. Ieri il banchiere chiamato alla guida del nostro paese si è dimesso e il Presidente della Repubblica ha disposto la fine della legislatura, ma pochi hanno capito come si è consumata questa strana vicenda. Proviamo a spiegarlo.
Antefatti
Il governo di Mario Draghi si era costituito nel febbraio del 2021 col sostegno di quasi tutti i partiti, la più ampia maggioranza di qualunque altro governo della Repubblica Italiana. Osannato da quasi tutta la stampa, celebrato come un taumaturgo dell’economia, perché ora è caduto?
La maggioranza era ampia ma non compatta. Da una parte c’era la Lega che si poneva spesso in contrasto con le scelte del governo (soprattutto sulla riforma del Catasto e il progetto di mettere a gara le concessioni balneari e quelle per servizio di taxi), dall’altra parte il M5S che aveva già visto stravolgere la riforma della giustizia, malsopportava l’intenzione di ridurre o di abolire il Reddito di Cittadinanza e il boicottaggio del superbonus edilizio del 110%. Tutto quello che era stato realizzato negli anni precedenti rischiava di essere cancellato. Per avere un chiarimento sulla sostanziale emarginazione del M5S, nonostante fosse la prima forza politica all’interno del Parlamento, Conte sottopose a Draghi, nei primi giorni di luglio, una lista con nove punti rispetto ai quali si chiedeva un segnale di collaborazione, ma non ci fu alcuna risposta.
Anche senza i voti del M5S Draghi avrebbe mantenuto la fiducia del Parlamento, infatti la scissione del M5S provocata dalla defezione di Luigi Di Maio ed altri 65 pentastellati aveva ridotto il gruppo parlamentare del M5S, quindi Conte non aveva più la forza numerica per minacciare una crisi di governo.
Le prime dimissioni di Draghi
Il 14 luglio il Parlamento ha rinnovato la fiducia a Mario Draghi, nonostante il non-voto del M5S, però a questa conferma è seguita la decisione di Draghi di rassegnare le dimissioni. Non s’era mai visto un premier che si dimette dopo aver ottenuto la fiducia. Una decisione paradossale. Mattarella ha respinto le dimissioni invitando Draghi a risolvere la questione in Parlamento. Ma qual era la questione da risolvere? Il governo non incontrava alcun ostacolo, la questione era tutta in una personalissima valutazione dello stesso Mario Draghi che riteneva indispensabile una fiducia espressa da tutte le forze politiche che avevano contribuito alla nascita del suo governo. In altre parole Mario Draghi esprimeva un personale rifiuto delle ordinarie dinamiche politiche, voleva un’assemblea legislativa composta in rigoroso ordine, statico e immutabile.
La distanza rispetto a Conte che aveva saputo reggere il timone del governo mediando tra forze contrapposte e attraversando anche un capovolgimento di alleanze politiche è enorme. Quella si Mario Draghi sembra una pretesa incompatibile col sistema democratico perché rifiuta la discussione politica che è l’essenza stessa della rappresentanza parlamentare.
Non potendo conoscere bene le procedure parlamentari e i dettagli della vicenda, la maggioranza degli italiani non vede tutte le stranezze, si dirà che, se il governo Draghi è caduto, significa che qualcuno l’ha sfiduciato. E chi può aver commesso il “draghicidio”? Sicuramente è stato Conte, ma certo, non vedi che sembra un maggiordomo?
La non-sfiducia
Il 20 luglio Draghi si è presentato alla Camera come da richiesta del Presidente Mattarella. La sua missione doveva essere quella di recuperare il favore del M5S che lui riteneva essenziale per la prosecuzione del governo. La sua risposta ai nove punti è espressa in molto generico. Draghi non sembra intenzionato a favorire il rientro dei pentastellati, il suo discorso contiene forti critiche ai tentennamenti della Lega. Diceva di volere una maggioranza ampia eppure si esprime in modo da indispettire non solo i cinque-stelle con cui avrebbe dovuto riconciliarsi, ma anche la Lega. Forse vuole essere sfiduciato, ma non ci riesce. L’esito della votazione gli conferma nuovamente la fiducia, quindi potrebbe continuare a governare l’Italia anche se al voto non hanno partecipato i parlamentari della Lega, neanche quelli del M5S e neanche quelli di Forza Italia. Con una mossa a sorpresa Berlusconi ha deciso di imitare la Lega Salvini e non votare. Comunque tra i votanti la maggioranza c’è, però il consenso al governo è ulteriormente sceso. Draghi riteneva di non poter governare senza il M5S, è riuscito a perdere altri pezzi.
Le seconde dimissioni di Draghi
Il 21 luglio Mario Draghi riconsegna le dimissioni, le più strane dimissioni che si siano mai viste, al Presidente Mattarella che ordina immediatamente lo scioglimento delle camere. Il banchiere si è autosfiduciato dopo aver seminato un po’ di zizzania. La situazione è grave, ma non è seria, come avrebbe detto Flaiano. Anche il sorriso quasi beffardo di Draghi sembra confermare una sua intima soddisfazione per il modo con cui è riuscito a suicidare il proprio governo.
- - - - - - - Alcune considerazioni finali - - - - - - - - -
Nel mio post precedente ho descritto la vicenda dell’auto-sfiduciamento di Draghi, ma forse è importante capire il perché.
Le trappole
Il 14 luglio il Parlamento doveva votare la conversione in legge del decreto Aiuti. Un pessimo provvedimento che mescola alcune misure di sostegno ai disagi economici delle famiglie meno abbienti con riforme difficilmente digeribili. A queste il PD ha chiesto e ottenuto di aggiungere una norma che conferisce al sindaco di Roma il potere di far costruire un inceneritore. Perchè questa norma non è stata stralciata per riproporla ad un opportuno confronto tra le forze di governo, di cui il M5S è la maggiore?
Sembra una provocazione per costringere i pentastellati a non votare la fiducia. Non l’unica perché negli stessi giorni trapelava anche l’indiscrezione secondo cui Draghi avrebbe chiesto a Beppe Grillo di estromettere Conte dal movimento. Si stava profilando la possibilità di un governo Draghi che proseguisse senza il M5S. Per molti era la soluzione più auspicabile giacché nessuna forza politica sembrava interessata a condividere i nove punti. Ma nonostante tutto Conte ribadiva il sostegno al governo.
La trappola consentiva a Draghi di autosfiduciarsi facendo ricadere la colpa su Conte. In questo modo il M5S potrà essere estromesso anche dal Parlamento. La legge elettorale è stata costruita per favorire le coalizioni e il presunto “draghicidio” sarà il pretesto per escludere il M5S dalla coalizione di centro-sinistra. Conte s'era guadagnato la stima degli italiani che avevano riconosciuto in lui una persona onesta e competente, ma ora dovrà affrontare le elezioni in condizioni molto svantaggiose, con liste composte da nomi sconosciuti e tutta la stampa impegnata ad esaltare i due blocchi uguali e contrapposti.
I nove punti? E chi
li conosce? Bisogna parlare tanto di Carlo Calenda, il confusionario
confindustriale allergico ai pentastellati.
Carlo Calenda sta cercando di proseguire l'opera di Renzi, frantumare dall'interno quel poco che resta della sinistra. La sua credibilità non è diversa dal quella del fiorentino che aveva solennemente promesso che si sarebbe ritirato dalla politica in caso di sconfitta al referendum costituzionale. Calenda aveva confessato di essersi pentito d'aver sostenuto per trent'anni le idiozie neo-liberiste, perciò ora sostiene solo quelle. Tuttavia a Calenda dobbiamo riconoscere che è meno antipatico e più creativo di Renzi: è riuscito a traghettare dentro la sinistra i migliori ministri del governo dei migliori, cioè gli ultimi avanzi della destra: Mariastella Gelmini e Renato Brunetta. In Forza Italia non li reggevano più.

Nessun commento:
Posta un commento