29 dicembre 2017

Il gran pasticcio dello Ius soli

Sulla questione dello "Ius Soli" si sta facendo una gran confusione. Qualcuno vorrebbe farci credere che la riforma sarebbe una sciagura e altri dicono che si tratta di una norma di civiltà, una riforma necessaria e urgente, ma questo artificioso scontro complica il pasticcio.

Proviamo a fare un po' di chiarezza.


Ogni Stato si compone di tre elementi: il popolo, il territorio e il potere sovrano. Alcuni Stati hanno origine nella storia di un popolo, altri invece si sono formati a partire da un territorio.
Lo Ius Sanguinis è il principio dello Stato-Nazione, cioè quello Stato che si identifica soprattutto con i caratteri del popolo. Le nazioni si distinguono dalla lingua e dai costumi. Il popolo italiano è composto da persone che parlano la lingua italiana, i francesi parlano francese e gli spagnoli parlano lo spagnolo. Negli Stati nazionali l'elemento prevalente è il popolo e quindi sembra ovvio dover attribuire la cittadinanza in base al legame di sangue: appartiene alla nazione chi è stato generato da un membro di quella nazione, il padre o la madre. Nelle culture patriarcali era solo il padre che poteva trasmettere la cittadinanza ai figli e anche alla moglie.
Oggi, in quasi tutti i paesi europei, sono entrambi i genitori a poter trasmettere la cittadinanza ai figli. Questo principio conserva l'unità della nazione, ma lo Ius Sanguinis che attribuisce la cittadinanza al neonato non è mai l'unico criterio, altrimenti il popolo risulterebbe una entità etnica impenetrabile, al criterio fondamentale si affiancano altre regole che consentono di acquisire la cittadinanza anche a persone che al momento della nascita non ne avevano diritto. In Italia la cittadinanza viene assegnata anche a seguito di adozione o di matrimonio o per effetto un certo periodo di residenza stabile. La nazionalità viene salvaguardata da una presunzione di naturalizzazione: il bambino straniero adottato da una coppia italiana come il coniuge di un italiano o di un’italiana e chiunque abbia trascorso un lungo periodo di lavoro e di residenza stabile in Italia può diventare italiano perché è entrato a far parte della nazione.

Se il criterio del sangue fosse stato adottato anche in America e in Australia, i caratteri nazionali delle tribù indigene si sarebbero imposte sui nuovi arrivati. L’americanizzazione degli europei sarebbe stata lenta e graduale. L’inglese e lo spagnolo non sarebbero mai diventate le lingue ufficiali di quei paesi. Gli Stati americani, come altre ex colonie, sono nati disconoscendo i diritti di chi li abitava da secoli, si sono costituiti come semplici territori da popolare, perciò si è adottato il principio dello Ius Soli. Con questo principio la cittadinanza si attribuisce a chiunque sia nato sul suolo del nuovo Stato. Ai tempi del colonialismo si riteneva che non ci fossero popoli o nazioni fuori dall'Europa, ma solo selvaggi da civilizzare, così le nazioni precolombiane sono state distrutte e nei nuovi territori sono state importate le culture degli europei che vi immigravano. Lo Ius Soli non rappresenta un progresso, ma ci racconta una storia tragica, fatta anche di genocidi e di sopraffazioni razziali. Gli indiani d’America sono stati condannati a vivere dentro le riserve, quasi che loro non fossero i veri nativi americani, non venivano considerati neanche alla pari degli altri, di quelli arrivati da lontano a nascere sul territorio americano.

Anche nei paesi in cui è in vigore il principio dello Ius Soli vi sono diversi temperamenti che consentono la naturalizzazione di chi non è nato nel territorio dello Stato. Entrambi i criteri di Ius Sanguinis e Ius Soli risultano inaccettabili senza adeguate eccezioni perché entrambi creano ingiustizie. Lo Ius Sanguinis preserva i valori culturali della nazione, ma crea discriminazioni rispetto agli stranieri immigrati che rischiano di restare sempre tali con esclusione dai diritti riservati ai cittadini; lo Ius Soli non discrimina per lo status familiare, ma discrimina tra chi ha avuto la fortuna di nascere nel posto giusto e chi è arrivato dopo la nascita.

 Pretendere di capovolgere la storia per passare dallo Ius sanguinis allo Ius soli sarebbe un’assurdità, significherebbe dare la cittadinanza a chiunque sia nato in Italia, anche per pura casualità, e negarla per sempre a chi sia nato altrove benché arrivato piccolissimo nel nostro paese o addirittura negarla ai figli di italiani casualmente nati all'estero. Credo che nessuno abbia mai realmente pensato a una riforma di questo tipo e vorrei capire per quale ragione è stata messa questa etichetta alla proposta di conferire la cittadinanza in base a criteri di assimilazione culturale. Si dovrebbe parlare di Ius culturae, cioè un principio che non assume come fondamento della cittadinanza né la discendenza naturale, né il luogo di nascita, bensì la scelta di voler vivere in Italia, tra gli italiani, condividendone la lingua e la cultura.

Lo Ius culturae rispetta la libertà di ciascun individuo senza condannarlo all’appartenenza familiare dello Ius sanguinis e senza chiuderlo nella gabbia di un territorio come farebbe lo Ius soli. Però dev’essere chiaro che Ius culturae significa rispettare la cultura nazionale e la collocazione terriroriale. Se voglio diventare cittadino di uno Stato che non è quello della mia famiglia d’origine e neanche quello dove sono nato, dovrò compiere un percorso di naturalizzazione: imparare la lingua, dimostrarmi rispettoso delle abitudini e dei costumi, adeguarmi alle regole. Nessun automatismo legato al sangue o al suolo può sostituirsi al percorso elettivo e formativo.



Se la riforma fosse stata presentata in questo modo non avrebbe suscitato il prevedibile allarme da parte di chi si sente già minacciato da fenomeni migratori mal gestiti. Se si smettesse di ripetere lo stupido slogan dei diritti misconosciuti e del “sono nato qui” che sembra voler discriminare tutti i bambini arrivati in italia al seguito dei loro genitori che li avevano già fatti nascere altrove, la questione potrebbe essere discussa in modo più ragionevole. La sciagurata idea di chiamare “Ius Soli” una riforma che non si basa sul diritto di suolo, è il peggior modo per ottenere qualche consenso, l'idea di farlo in un momento in cui i flussi migratori risultano difficilmente gestibili significa voler creare polemiche inutili e strumentali.

Vedere una classe politica che non riesce ad usare i vocaboli per definire le proprie proposte è penoso e crea grande sfiducia anche quando la legge proposta appare abbastanza ragionevole.

Per assurdo lo Ius soli in Italia esiste già, infatti chi è nato da genitori stranieri sul territorio italiano può ottenere la cittadinanza italiana purché sia rimasto in Italia fino al compimento della maggiore età. Un diritto che viene esclusivamente dal suolo. Questo diritto già crea qualche problema perché accade che nella stessa famiglia possono esserci due fratelli cresciuti insieme di cui uno avrà la cittadinanza, quello più piccolo nato in Italia, mentre l’altro, incolpevolmente arrivato sul nostro suolo quando aveva pochi anni o pochi mesi, non avrà lo stesso diritto. L'ingiustizia è palese e potrebbe essere cancellata da una riforma basata sullo Ius culturae che eliminerebbe l'ingiusta discriminazione prodotta dallo Ius soli, ma bisogna usare le parole giuste!

Usando parole sbagliate ci stiamo dividendo in un insensato scontro tra guelfi e ghibellini. Si potrebbe utilmente smettere di citare i vecchi principi e cominciare a lavorare tutti insieme per definire gli standard culturali da richiedere per l’attribuzione della cittadinanza, ma questo dibattito si dovrebbe svolgere tra esperti di scienze sociali, giuristi e politici e dovrebbe coinvolgere tutta l’Europa perché non è possibile immaginare un‘Europa in cui i criteri di attribuzione della cittadinanza siano eterogenei.

Credo che le forze politiche di sinistra e tutti i cittadini che si riconoscono nei valori della sinistra dovrebbero attivarsi per promuovere questo dibattito evitando di continuare ad agitare lo spauracchio dello Ius soli, utile soltanto a rinforzare i pregiudizi e le paure che portano consenso all’estrema destra. L'urgenza che si vuole attribuire alla riforma dal nome sbagliato, che molto stupidamente sarebbe attuata solo in Italia, serve solo a consolidare in molte persone l'idea del grande complotto che avrebbe pianificato una sostituzione etnica riducendo il nostro territorio ad uno spazio da colonizzare.

Credo che sia molto molto importante evitare queste pericolose derive. Invece insistere sulla confusione aggiungendoci anche la tensione di una presunta urgenza è un grande errore. Una vera urgenza di cambiare i criteri di attribuzione della cittadinanza non c'è perché fortunatamente i diritti fondamentali vengono riconosciuti a tutti, a prescindere dalla cittadinanza. La tutela effettiva di questi diritti è la cosa più importante, per tutti.

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