Nanni Moretti lo gridava alla giornalista nel suo film Palombella Rossa. All'epoca non capivo la ragione di tanta veemenza. Forse non mi accorgevo di come il nostro linguaggio si stava deformando. L'ho scoperto quando era ormai troppo tardi.
L'ho scoperto in quella giornata assurda, incredibile, che fu l'11 settembre di quindici anni fa.
Era la parola "guerra". Ancor prima di leggerla sui giornali l'avevo già sentita dal collega che mi aveva dato la prima notizia alle tre di pomeriggio. Disse che l'America era stata attaccata.
- Siamo in guerra - disse - le torri gemelle sono state colpite.
- Colpite da chi? - gli chiesi.
- Non si sa, due aerei hanno colpito le torri, c'è stato un attacco, un altro aereo ha colpito il pentagono. E' la guerra!
Chi può aver attaccato l'America? L'impero sovietico ormai dissolto? La Cina? Pensai anche a una burla.
Accendemmo un televisore e vedemmo le torri che bruciavano.
Era vero. Ma cos'era?
Tutti i giornali titolavano GUERRA. Una parola sbagliata per descrivere un fatto vero.
La guerra richiede due nazioni o due eserciti che si combattono, ma gli aerei che avevano colpito le torri di New York non erano aerei militari, non arrivavano da un paese nemico. Era stato un attentato terroristico ed era evidente che i diretti colpevoli, i terroristi che l'avevano compiuto, erano tutti morti. Restava solo da cercare eventuali complici o mandanti. Occorreva un attento e paziente lavoro di investigazione. Ma non ci fu. La parola guerra aveva già galvanizzato tutti. All'attacco si risponde con un contrattacco. Agli aerei si risponde con altri aerei che vanno a bombardare il nemico.
- Quale nemico? - mi chiedevo.
- L'Afghanistan. - rispondevano senza esitazione gli esperti che parlavano dalle televisioni.
- Perché l'Afghanistan? E' là che hanno dichiarato guerra agli USA?
- No, ma forse è là che si è rifugiato Osama bin Laden.
- Chi è Osama bin Laden? - nessuno di noi comuni lettori di giornali europei riusciva a ricordare quel nome.
- Ma sì, il figlio di uno sceicco arabo che aveva il comando dei ribelli negli anni in cui l'Afghanistan fu invaso dai sovietici.
- Quindi un amico degli americani?
- Certo, a quei tempi lo era. La rivolta antisovietica di gruppi islamisti era sostenuta dagli americani che avevano molta fiducia nelle capacità di Osama bin Laden, ma poi qualcosa è cambiato, lui ha cominciato ad agire in proprio e ha dichiarato una sua guerra personale contro gli USA.
- Qualcosa è cambiato? Che significa? E comunque come potrebbe un uomo con la sua banda di guerriglieri affrontare il più potente esercito del mondo?
Mi spiegarono che sarebbe stata una guerra non convenzionale, attuata con un metodo subdolo capace di trasformare la fede religiosa dei musulmani in odio ideologico e la sua strategia sarebbe stata quella di disseminare nel mondo occidentale cellule clandestine di terroristi pronti a colpire. La rete esite già, si chiama Al-Qaeda.
Non ero persuaso da quel ragionamento. La parola guerra, mi sembrava inadatta a descrivere quel che stava accadendo. Anche la reazione militare, gestita con caccia-bombardieri e truppe da inviare tra i monti dell'Afghanistan, mi sembrava inappropriata per combattere piccoli gruppi di terroristi che forse si nascondevano nelle periferie di Los Angeles o nei sobborghi di Parigi.
Alla guerra dovevano partecipare tutti gli Stati membri della NATO, perché era una guerra difensiva. Gli USA erano stati attaccati e chiedevano l'intervento degli alleati. Sì, gli USA erano stati attaccati, però ad attaccare non furono gli afghani. Dettaglio irrilevante?
Nel nostro parlamento ci furono alcuni deputati, non tanti, solo 67 su 630, che si rifiutarono di approvare l'intarvento militare italiano contro l'Afghanistan. L'art. 11 della nostra Costituzione vieta la guerra. Come poteva consentirsi uno strappo alla regola motivandolo da un attentato terroristico compiuto a New York da un misterioso gruppo di arabi istigati da un principe arabo saudita e nessun afghano.
Non avevo capito che mentre ci si interrogava sull'opportunità di scatenare una guerra e contro chi, qualcuno la guerra la stava già facendo. Vittorio Feltri, direttore di Libero, era completamente immedimato nel suo ruolo di patriota combattente e decise di punire i "traditori".
Fece pubblicare in prima pagina i 67 nomi con le foto segnaletiche sotto il titolo: Verdi, Comunisti e sinistra DS stanno con il nemico. Feltri non aveva dubbi sulla guerra e su quale fosse il nemico. Forza delle parola: se c'è una guerra, è d'obbligo che ci sia anche un nemico e un po' di traditori da fucilare. Senza farsi troppe domande, perché in guerra non c'è tempo per le domande. Quando l'ordine dei giornalisti e la stampa non combattente accusò Libero d'aver fatto sciacallaggio politico, Feltri raddoppiò la dose e ripubblicò il suo calunnioso schedario.


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