12 maggio 2024

Che giustizia è mai questa?

Un imputato assolto con sentenza definitiva non è sempre innocente. Questo lo sappiamo tutti. Ci sono tanti modi con cui un colpevole può farsi assolvere. Può cancellare le prove, far scomparire i testimoni o corromperli, può avvalersi di complici che hanno intimorito il giudice o l'hanno graziosamente indotto ad una particolare clemenza. Poi ci sono gli avvocati sempre pronti a sviare il giudizio con mille cavilli, fino all'improcedibilità, alla prescrizione o a qualche amnistia.. così il malfattore ne uscirà pulito e potrà anche fregiarsi della mancata condanna mentre altri saranno dichiarati colpevoli senza aver mai fatto nulla di male. Che giustizia è mai questa?

Occorre trovare un sistema migliore che possa darci certezze. Dobbiamo trovare un modo per distinguere il colpevole dall'innocente senza dare adito a troppi dubbi. E' possibile, basta considerare che ci sono stati tempi in cui i processi giudiziari si basavano su elementi certi e indiscutibili. Per esempio nei tempi delle pestilenze bastava trovare l'untore, colui che era stato colto sul fatto ad imbrattare qualche porta o qualche muro. Quando si verificavano decessi inspiegabili di persone o animali era sicuramente effetto di un maleficio che solo una strega avrebbe potuto fare e c'è sempre qualche segno inconfondibile per riconoscerla: uno sguardo sbieco, un carattere scostante, un punto insensibile nel corpo... I modi sono tanti, ma in fin dei conti il metodo sicuro sta sempre nel definire un capro espiatorio che sia riconoscibile da chiunque.

Oggi pochi sarebbero disposti a condannare la strega o l'untore. Per colpa del politicamente corretto è difficile prendersela perfino con gli zingari e gli ebrei, però non c'è rischio di sentirsi rinfacciare qualche tipo di razzismo se portiamo alla gogna i fannulloni: impiegati statali, insegnanti, percettori del reddito di cittadinanza, immigrati con scarpe nuove e telefonino... La fannulloneria o fannullagine è insita nella persona, notoriamente dannosa, come la zingaraggine, non c'è bisogno di prove e argomentazioni. Però i fannulloni sono per lo più inermi, quindi difficilmente incolpabili di delitti violenti, per i fattacci più grossi i colpevoli bisogna cercarli nei centri-sociali o tra gli anarco-insurrezionialisti, se non fosse che sono piuttosto rari. Per fortuna abbiamo una categoria sempre disponibile, che può essere incolpata di tutto con approvazione quasi unanime: sono i politici. Loro comandano, stanno in alto, il pesce puzza dalla testa, quindi non servono altre prove. 

Il metodo del caprone che può espiare tutte le colpe, quelle che ha e quelle che non ha, è la risposta più facile e sbrigativa. Piace, perché la gente non ha voglia di aspettare la fine dei processi e non vuol sentire sofisticherie. Se qualcuno tenta di guardare fatti e circostanze o prova a distinguere intenzioni e situazioni suscita immediatamente l'indignazione della tribù che ha bisogno della giustizia, senza se e senza ma. Non si può guastare la festa popolare cercando cavilli quando i capri, con corna già infiocchettate, son pronti per essere condotti al patibolo. 

E' giustizia di popolo, del popolo sovrano e ingiudicabile. La si potrebbe raffigurare mentre brandisce la spada con la benda sugli occhi, come una cieca invasata. Per meglio colpire avventandosi sul Prina o sul Carretta che sventuratamente hanno incrociato la sua strada, si sarà opportunamente disfatta della scomoda bilancia. Il popolo non ha nulla da soppesare.

Il popolo è onesto per definizione, unico legittimo sovrano del sistema democratico, ma non è detto che il sovrano sia sempre onesto e neanche che gli onesti siano sempre giusti. Perciò la giustizia somiglia alla sonnambula che il pittore russo Victor Nizovtsev raffigura tra i maiali che ella non può riconoscere. La sua giustizia non sarà mai davvero giusta. E' già molto che non faccia sfracelli. 

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Da giovane fui studente in una facoltà universitaria che si chiama giurisprudenza, da juris prudentia che significa la prudenza del diritto, perché il diritto si deve usare sempre con estrema prudenza. Tuttavia taluni laureati si qualificano dottori in legge, come se un ingegnere dicesse di essersi addottorato in ferro & cemento, che certamente userà nelle costruzioni da lui progettate, ma forse l'ingegneria è qualcosa di più del materiale che si usa nei cantieri, come la medicina è qualcosa di più del farmaco, così per un giurista la legge è solo uno dei materiali da usare nella pratica del diritto. Oggi nelle università si passa dalla rigida materialità delle leggi alle formule elaborate da pretese Scienze giuridiche (scellerata denominazione affibbiata a nuovi corsi di studio) così ogni prudenza svanisce e il diritto diventa un bagaglio di certezze dure come il cemento o come quel ferro micidiale di cui è forgiata la spada impugnata da una sbilanciata Dike.

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Una delle tante proverbiali sciocchezze che ci tocca di sentire, come la storia del pesce che puzza dalla testa, è quella delle affermazioni che si smentiscono a vicenda: se la contesa si riduce alla parola tua contro la parola mia, non ci sarà nulla da sentenziare.

La giustizia umana è sempre stata l'esatto contrario di questo stupido proverbio.
Nella realtà delle Corti e dei Tribunali ogni giudice si trova sempre di fronte ad un contraddittorio e non avrà mai un metodo sicuro per separare nettamente i torti dalle ragioni. Non esistono casi di colpa evidente, neanche quando si riescono a trovare testimoni oculari o si ottiene la confessione del reo. C'è il video, c'è il video! schiamazzano i più ingenui o la prova del dna, sempre più spesso offerta al giudice in luogo dell'unguento raschiato dagli stipiti delle porte dov'era passata la peste.
La storia purtroppo ci insegna che i peggiori casi di innocenti condannati ingiustamente si basavano su testimonianze apparentemente affidabili e su confessioni dell'imputato, talvolta estorte con torture o minacce, altre volte rese spontaneamente. Nessuna confessione può costituire prova definitiva, nessun testimone è infallibile, nessun rilievo tecnico è immune da errori e contraffazioni.

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Il più antico caso giudiziario di cui abbiamo notizia è il processo in cui Re Salomone si trovò a dover  decidere l'affidamento di un neonato tra due sedicenti mamme che se lo contendevano. Il racconto biblico ci dice che le due donne provenivano dallo stesso lupanare, non avevano marito e non c'era nessuno che potesse fare da testimone. In quel caso la parola dell'una sembrava valere quanto la parola dell'altra e al Re si poneva il dilemma che si pone ogni volta ad ogni giudice, ma nessun giudice può lavarsene le mani. Salomone doveva decidere. La giustizia deve dare una risposta, sempre.

Re Salomone improvvisò una terribile messa in scena con cui ingannò entrambe le donne. Ordinò ad un soldato di tagliare il bambino a fil di spada per consegnare metà all'una e metà all'altra. Allora una delle due donne reagì: "No, non lo voglio, lasciatelo pure all'altra. Il bambino non è mio."
Salomone fece esattamente il contrario e decise di consegnare il piccolo alla donna che aveva rinunciato. In lei aveva riconosciuto la vera mamma e non volle neanche punirla per la falsa dichiarazione.
La Bibbia vorrebbe farci intendere che Dio aveva suggerito a Re Salomone il trucco, l'orrore fatto balenare in un istante per far emergere la verità.

Qualcuno può crederlo, se vuole, ma in realtà noi non sapremo mai quale fosse la vera madre, neanche l'astuto Salomone l'ha mai saputo. Nessuno può sapere se la donna che rinunciò alla sua pretesa per salvare il bambino non fosse l'usurpatrice pentita e l'altra una madre snaturata, disattenta o incapace di amare i propri figli.
Re Salomone aveva fatto giustizia scegliendo tra le due donne la più sensibile, ma la verità non la sapremo mai. Lo ricordiamo giustamente come modello di buona giustizia anche se avesse sottratto il bimbo alla madre naturale. Ciò non gli riduce la nostra ammirazione perché quel bimbo fu affidato a una donna compassionevole e questo ci basta.
Alla giustizia umana non possiamo mai chiedere più di un ragionevole compromesso e dobbiamo sempre diffidare di chi propone formule di giustizia perfetta o invoca l'inflessibilità della legge.

Summum jus, summa iniuria


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