Putiniani, a rigor di logica dovrebbero essere i seguaci e sostenitori di Putin. Esistono davvero? Purtroppo sì. L'ex funzionario del KGB che è riuscito a scalare il potere tra accuse di corruzione e attentati falsamente attribuiti a terroristi ceceni, l'uomo che fa avvelenare gli oppositori e fa uccidere i giornalisti che lo criticano, ha molti ammiratori. Fu elogiato da George W. Bush nel 2001, quando i due si incontrarono al summit in Slovenia.
In Italia divenne buon amico di Silvio Berlusconi, Matteo Salvini esibiva l'effige di Putin in divisa (un modo per dire che lui del presidente russo apprezzava soprattutto l'orgoglio militarista - era lo stesso Putin col berretto da militare che appariva sui manifesti dei neofascisti di Forza Nuova), abbiamo ascoltato gli elogi di Giorgia Meloni, che evidentemente in lui non vedeva un ex agente sovietico bensì un nuovo duce. I trascorsi comunisti del giovane Putin erano perdonabili, in fondo anche Mussolini aveva iniziato come marxista prima di diventare nazionalista e militarista.
Putin s'è guadagnato grande stima sia nella destra neo-fascista europea, sia nella destra neocon americana, da Bush fino a Trump. Ora i putiniani d'Italia tacciono, sfuggono, forse un po' si vergognano, l'ha fatta grossa, troppo grossa. Solo Berlusconi è riuscito a dichiararsi deluso. In Francia la nazionalista Marin Le Pen continua a sostenerlo, in Ungheria c'è un altro piccolo duce che resta putiniano.
La guerra, di cui ora vediamo gli orrori, sta mostrando il lato peggiore di Putin, ma la destra fascista non ha mai rifiutato la guerra, non ha mai avuto orrore del sangue, la destra americana è abituata alle guerre e non ha avuto pietà dei cileni, degli afghani, degli iracheni, dei libici, dei siriani. C'è una sola differenza tra le due destre: per i fascisti la guerra è occasione di affermazione, di coraggio, di eroismo e di patriottismo, per gli oligarchi americani la guerra è fonte di profitti che si possono celare e giustificare con la facile retorica dell'esportazione di democrazia.
La sinistra detesta la guerra. Preferisce la pace e la cooperazione. La sinistra non sente il bisogno di un comandante autoritario, perciò non ha mai avuto simpatie per Putin e non potrebbe averne né per Trump, né per i capitani nostrani. Sto parlando della sinistra, cioè delle persone che perseguono gli ideali di uguaglianza, libertà e solidarietà, non parlo degli infiltrati, purtroppo numerosi e rumorosi. La destra usa strategie militari anche nell'ordinario confronto politico e quella di creare quinte colonne nelle file dell'avversario è una ben collaudata tecnica militare.
Le infiltrazioni hanno creato una sinistra finta che ha il solo scopo di screditare quella vera, che possiamo ancora riconoscere in figure rappresentative come Luciana Castellina che fu espulsa dal Partito Comunista perché si opponeva all'autoritarismo sovietico. Oggi questa donna straordinaria la cui memoria arriva ai tempi del fascimo, ci ricorda di essere stata a Mosca alle manifestazioni organizzate contro Putin, lo fece ben prima della guerra in Ucraina. Il suo pacifismo non può essere tacciato di putinismo. Luciana Castellina si è opposta immediatamente all'autoritarismo di Putin, ma lei, come tutta la vera sinistra, era contraria anche al militarismo occidentale, era a Comiso nel 1982, dove i pacifisti furono manganellati dalla polizia. Anche negli USA la sinistra si è sempre opposta alle guerre, da quella del Vietnam fino al quella in Iraq.
La sinistra non può essere putiniana,
non lo è mai stata e mai lo sarà.
Quando Bernie Sanders illustrava al Congresso di Washington le colpe e i rischi delle provocazioni della Nato alla Russia, non lo faceva per assecondare Trump, né per favorire Putin, lo faceva solo perché interessato alla pace e alla cooperazione. Era sulle stesse posizioni sostenute in passato anche da Joe Biden.
La guerra di Putin non è stata dichiarata contro l'Ucraina, bensì contro i valori liberal-democratici dell'occidente, quei valori che, insieme al benessere socio-economico, stavano penetrando in Ucraina, quindi è una guerra contro gli ideali politici della sinistra.
Ce lo spiega molto bene Alexander Dugin, l'ideologo russo che sembra ispirare le strategie di Putin. Egli afferma di voler combattere il liberalismo. Il suo nemico è la società aperta e liberale descritta da Karl Popper. Al riguardo è molto interessante il confronto tra Alexander Dugin e Bernard-Henry Levy.
E' ancora sostenibile il pacifismo di fronte ad una volontà di dominio assoluto che potrebbe somigliare all'arrivo di un'orda barbarica o al delirio di onnipotenza del terzo reich?
Negli anni '60 i pacifisti non andavano a consegnare armi ai vietcong, chiedevano di far cessare la guerra del Vietnam, nel 2003 i pacifisti non consegnavano armi agli iracheni, si opponevano alla guerra imposta da Bush e da Blair. In entrambi i casi le ragioni della pace erano valide e giuste, le ragioni della guerra erano false e prevaricatrici. Nessuno avrebbe mai detto che rinunciando al dovere di armare la resistenza quei pacifisti diventavano sostenitori della brutalità americana. Oggi gli stessi pacifisti chiedono la stessa cosa, allo stesso modo, con le stesse ragioni. Non vogliono partecipare alla guerra con l'invio di armi ai guerrieri ucraini, però stavolta si trovano ad essere accusati di volere la resa dell'Ucraina e quindi di essere sostanzialmente sostenitori di Putin. Secondo questa distorta narrazione perfino il Papa sarebbe diventato putiniano perché afferma che il riarmo sia un'autentica follia. Davvero un Papa che ha voluto baciare la bandiera ucraina è putiniano?
In televisione chiunque osa esprimere un pensiero critico viene trattato come un reietto, che sia uno studioso oppure un collega giornalista, come Giorgio Bianchi o come Angelo D'Orsi che ha osato criticare l'uso distorto di immagini sulla prima pagina del quotidiano diretto da Massimo Giannini.
Gli infiltrati - la finta sinistra
La pressione mediatica è talmente forte che anche la sinistra appare disorientata. Mi riferisco sempre alla vera sinistra, non ai commessi delle elite finanziarie, e poco importa che siano ben infiltrati e che abbiano ormai raggiunto posizioni di vertice nei partiti che in altri tempi furono pilastri della sinistra, restano semplicemente infiltrati.
Per esempio è ormai chiaro che Massimo D'Alema non può appartenere alla sinistra perché non ha mai detto quel qualcosa che Nanni Moretti gli chiedeva da anni, piuttosto è stato sostenitore di bombardamenti e ora sembra essere anche un trafficante di armi. Allo stesso modo nessuno può pensare che sia di sinistra Enrico Letta, nipote di Gianni, membro dell'Aspen Institute come lo zio, gran ciambellano della corte berlusconiana. Il nipote è anche membro della Commissione Trilaterale insieme a Mario Monti. Qualcuno può ancora meravigliarsi che sia sempre schierato a favore dei privilegiati? Men che meno potrebbe essere di sinistra Matteo Renzi, che insieme a Giorgio Napolitano ha attentato alla Costituzione, ha avversato i sindacati dei lavoratori, ha cancellato l'art.18, ha tentato di abolire l'autonomia dei docenti e l'indipendenza dei giudici e detesta il reddito di cittadinanza. Ma non possiamo dire lo stesso del direttore di MicroMega, che le istanze della sinistra (quella illuminista, come scrive nel sottotitolo) le ha sempre sostenute, tuttavia Paolo Flores d'Arcais s'è scagliato contro un comunicato dell'associazione dei Partigiani. Analoghe posizioni sono state espresse da Pierfranco Pellizzetti. La resistenza richiede l'uso delle armi.
Il pacifismo non è più di sinistra?
Se non c'è più spazio per i pacifisti, si rischia di scambiare per pacifismo la vigliacca ambiguità di Salvini e Meloni. Mentre votano per fornire armi all'Ucraina e sostengono il forte riarmo in casa nostra (38 miliardi che potrebbero essere sottratti alle famiglie più bisognose, come propone Ignazio LaRussa dei FdI che anche in questo si trova in perfetta armonia con Renzi), van cianciando di cerchiobottismi al solo scopo di nascondere il loro sostanziale sostegno al duce moscovita.
No, io credo che il pacifismo sia ancora la bandiera della sinistra, l'unica possibile, che non implica una resa all'invasore, non è una rinuncia alla resistenza, ma la resistenza al nazifascismo non fu la miccia che accese o prolungò la guerra, inoltre sappiamo bene che non tutti gli italiani erano amici dei partigiani, c'erano anche i fascisti, quindi non sarebbe stata una buona idea quella di dare armi agli 'italiani'. In Ucraina ci sono civili che hanno il diritto di fuggire o di difendersi, ma ci sono anche organizzazioni che combattono ferocemente sotto le insegne di Stepan Bandera, non hanno nulla di democratico e sarebbero pronte a contrastare il liberalismo con la stessa determinazione di Putin, di Dugin, di Orban, di Erdogan. Gli autocrati. Vogliamo armare anche loro, come abbiamo già armato i tagliagole dell'Isis? Non mi sembra una buona idea.
C'è un argomento che viene facilmente utilizzato per silenziare i pacifisti. Ci dicono che la via dei negoziati è preclusa dal rifiuto di Putin. A dirlo sono gli stessi che sostengono il fallimento dell'invasione russa: basta armare adeguatamente gli ucraini per metterli in condizione di vincere. Per loro solo la sconfitta militare porterà i russi al tavolo delle trattative. In altre parole, la guerra si vince o si perde, non c'è alternativa. Mi sembra un ragionamento che parte da un presupposto sbagliato, per avviare un negoziato di pace occorre la visione contraria, si deve trovare un compromesso per cui nessuno debba risultare vincitore o perdente. Inoltre il ragionamento di chi esclude a priori la possibilità del negoziato cade in contraddizione: se è vero che l'invasione lampo dell'Ucraina non è riuscita e che Putin sta perdendo, allora dovrebbe essere il più interessato a scendere a patti per trovare una via d'uscita. Il vero problema quindi potrebbe non essere il rifiuto di Putin, quanto piuttosto il rifiuto dei sedicenti o aspiranti vincitori.
C'è un un interesse americano a far cessare la guerra?
No, sembra che non ci sia.
Gli americani non parlano di negoziati, chiedono solo sacrifici a noi europei. Lo spiega in modo sorprendentemente chiaro il generale Tricarico: "Joe Biden non vuole la pace".
Gli USA non hanno nulla da perdere e tutto da guadagnare da uno scontro che logora i russi, indebolisce l'Europa e mette in imbarazzo la Cina. Ma non ci sono soltanto interessi economici e militari. Sembra che anche gli americani stanno combattendo una guerra ideologica, uguale e contraria a quella di Dugin.
Gli americani vogliono imporre il loro dominio imperiale (globalizzazione) annientando tutti i nazionalismi che non si sottomettono. Ma credo che sia sbagliato immaginarla come vorrebbe Dugin: una guerra delle sovranità-identità nazionali che resistono all'annientamento e all'omologazione imposta da un presunto "liberalismo nichilista". E' piuttosto una guerra tra il potente "Impero dei soldi" e un rinascente "Sacro romano ortodosso impero".
Entrambi utilizzano false bandiere. Gli americani sventolano i vessilli di un liberalismo che hanno rinnegato fin dai tempi del Maccartismo, per seppellirlo definitivamente con gli esperimenti carcerari di Guantanamo e Abu-Grahib. Hanno imposto ovunque regimi militari antidemocratici, dal Cile all'Iraq fino alla Libia e alla Siria. Oggi negli USA esiste un regime di sorveglianza telematica che è arrivato alla persecuzione personale di Edward Snowden e di Julian Assange.
I russi da parte loro ostentano le sacre icone di una sovranità mistica che cela un dogmatismo dispotico e assassino e rinnega la vera essenza della cultura russa e dei suoi massimi esponenti, da Tolstoj a Sacharov, da Bulgakov a Pasternak. La dottrina nazionalista di Dugin vorrebbe convincerci che l'affermazione dei diritti umani conduce verso un individualismo che disgrega le comunità e annulla le tradizioni, ma questa idea reazionaria è la più grande offesa all'anima liberale e libertaria dei grandi russi: Bogdanov e Bakunin, Anna Kuliscioff o Angelica Balabanoff, Sergei Esenin e Vladimir Majakovskij.
In Ucraina, sulla pelle degli ucraini, si combatte una guerra tra due opposte ideologie, entrambe, sia pure in forme diverse, dispotiche e illiberali, entrambe ferme ad una visione oligarchica da ancien regime.
Mai più di adesso è necessario rivendicare gli autentici valori della democrazia liberale, schiacciati da entrambe le parti, da due opposte dottrine che si combattono capricciosamente, ma di tanto in tanto riconoscono la loro profonda affinità: la reciproca simpatia tra Putin e Trump, l'affinità ideologica tra Alexander Dugin e Samuel Huntington, due ideologie che si ritrovano insieme nel culto del militarismo, nella mania del controllo sociale, nel razzismo più o meno velato.
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