28 febbraio 2018

Giornalisti in prima linea e mondo di mezzo


In Turchia Ahmet Altan, Memeth Altan e Nazli Iliack sono stati condannati all'ergastolo. Non sono assassini, non sono rapinatori, non sono ladri, sono giornalisti e sono colpevoli di dissenso; per la stessa ragione sono stati incarcerati e forse torturati anche magistrati e insegnanti.
Il giornalismo, quello vero, diventa un mestiere rischioso e la democrazia mostra tutta la sua fragilità. Dobbiamo presidiarla dando il massimo sostegno al giornalismo d'inchiesta. 
A Malta è stata uccisa Daphne Caruana Galizia, giornalista free-lance che indagava su vicende legate ai Panama Papers, un groviglio di frodi finanziarie con ramificazioni estese fino al governo maltese. Poco prima di morire la giornalista aveva scritto sul suo blog: «Ci sono criminali ovunque, la situazione è disperata».


Poi la notizia dell'uccisione del ventisettenne slovacco Ján Kuciak. Indagava sugli affari sporchi di alcune famiglie di imprenditori italiani. L'ultimo articolo di Jan Kuciak è stato tradotto e pubblicato da Repubblica, vi si leggono i nomi degli italiani legati da una parte ai clan calabresi e dall'altra a collaboratori del governo slovacco. Tra i sette italiani arrestati ci sono collezionisti di Ferrari e Lamborghini, difficile credere che possano essere state acquistate coi proventi delle loro imprese agricole.


In Italia abbiamo visto le testate in faccia a Daniele Piervincenzi e da lì è emersa una rete mafiosa che intreccia zingari e politicanti di estrema destra. La recente video-inchiesta "Bloody Money" realizzata da Fanpage ha toccato i vertici del PD campano esponendo i giornalisti a indagini, perquisizioni, insulti e aggressioni.  Siamo nel paese degli editti bulgari, delle querele strategiche (mai che si rivolgano contro uno dei tanti giornalisti lacchè) e siamo nel paese che non ha ancora dato una risposta all'uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Non conosciamo gli assassini, ma i 24 anni di indagini hanno fatto intravedere torbidi traffici di armi e di rifiuti tossici con un contorno di connivenze politiche, di depistaggi e violenze.
In questo elenco non possiamo dimenticare Antonio Russo, ucciso in Cecenia nel 2000 ed Enzo Baldoni ucciso in Iraq nel 2004. Non sappiamo quali scoperte hanno segnato il loro destino. E' probabile che Antonio Russo avesse raccolto materiali sulle violenze attuate in Cecenia dall'esercito russo, gli stessi orrori su cui continuava ad indagare anche Anna Politkovskaja, uccisa a Mosca nel 2006. Non possiamo neanche dimenticare i tanti giornalisti caduti o scomparsi per mano mafiosa: Mauro De Mauro, Peppino Impastato, Mauro Rostagno, Pippo Fava, Beppe Alfano, Giancarlo Siani ... non vado oltre, un elenco è qui.

Tra tante storie diverse mi sembra di vedere un denominatore comune: l'intreccio tra affari loschi e coperture politiche. Qualcosa di ordinario nelle nostre zone mafiose, qualcosa che ora sembra volersi globalizzare. La vecchia mafia si nutriva di estorsioni e contrabbando, l'economia globalizzata offre nuove opportunità nei traffici internazionali di armi, droghe e schiavi. Sono traffici illeciti che rientrano nell'economia reale, nello scambio di beni e di servizi, anche se talvolta i servizi impongono la brutale schiavizzazione o l'abuso fisico di donne e bambini. Però la globalizzazione offre nuove possibilità che esulano da questi orrori. E' la gestione dei flussi di denaro: riciclaggio, paradisi fiscali, truffe finanziarie, corruzione di governi, spionaggio informatico... un bengodi che sembra essere tutto virtuale, dove ci si può sentire perfino puliti perché non scorre sangue e non volano pugni. Sono solo affari.

La gente che vive una ordinaria quotidianità fatta di lavoro e vita domestica non ha modo di vedere quel che accade nei circuiti della finanza. Non può distinguere facilmente il lecito dall'illecito. L'elusione fiscale non sembra essere un vero delitto. La corruzione di un ministro nigeriano non sembra riguardarli, né può indignarsi per gli eventuali furti di dati ai danni di piattaforme informatiche. Sono affari troppo grandi, fuori dalla loro portata. E se nessuno se ne occupa, allora, a quel livello, anche l'illecito diventa tollerabile, quindi lecito.  Forse diventa perfino desiderabile, visto che stanno scomparendo gli impieghi che assicuravano il benessere al ceto medio (professionisti, commercianti, piccoli imprenditori, insegnanti e impiegati), così chi è dotato di buone competenze, per non regredire nella quasi-povertà, si sposterà verso le nuove attività dell'economia virtuale. Affari che sembrano puliti, almeno finché non arriva il giornalista a far troppe domande. Allora saltano i nervi, partono le minacce come è accaduto al responsabile di Confindustria davanti alle domande di Fabrizio Gatti, oppure c'è il sorrisetto compiacente con cui la Canuto, che si presenta come docente di criminologia ambientale, parla di "banchette" e "paciughini" da sistemare, "soldini puliti o non puliti non ci interessa", "anche se son di rapine", "un po' di lavatrice", .


I coraggiosi giornalisti di Fanpage l'hanno soprannominata "la dama di mezzo", rievocando quel "mondo di mezzo" con cui il fascista Massimo Carminati aveva definito il ruolo della propria rete criminale, quasi citando Tolkien.


Nell'era della globalizzazione imposta dall'ideologia neo-liberista, che schiavizza i lavoratori, sfrutta e disprezza l'ambiente, è il "mondo di mezzo" che prende il posto del ceto medio piccolo-borghese.

Occorre farli tacere i giornalisti? quelli che De Luca considera camorristi, oppure aveva ragione Daphne Galizia a scrivere che ormai «Ci sono criminali ovunque, la situazione è disperata»? 


In questa foto che fu diffusa ai tempi dello scandalo di "Mafia Capitale" sono riuniti intorno allo stesso tavolo, in un locale della Garbatella, esponenti di ambienti che dovrebbero essere lontani e inconciliabili: Salvatore Buzzi, ex omicida e organizzatore dei centri di sfruttamento dei richiedenti asilo, Luciano Casamonica, membro di una ricchissima famiglia rom, e l'ex sindaco di Roma Gianni Alemanno. Al tavolo c'era anche il ministro del lavoro Giuliano Poletti. E' l'immagine del mondo che sta nel mezzo tra affari, criminalità e politica, di destra e di sinistra. Sullo sfondo un manifesto emblematico: "I popoli del mondo". Affidati alle loro cure?






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