Il concorso dovrebbe essere l'unica via di accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni, ma questo non accade negli enti che, in tutto o in parte, si avvalgono di finanziamenti pubblici. In nome della meritocrazia viene richiesto il "curriculum" di cui molti parlano come se fosse il certificato dei meriti acquisiti. Possiamo crederci?
Il metodo del concorso era associato al principio di buon andamento e di imparzialità della pubblica amministrazione (così è stabilito dall'art. 97 della Costituzione). Il corcorso svolto correttamente è un'estrinsecazione del principio di imparzialità e fa da corollario al buon andamento perché assicura che siano i migliori candidati ad essere chiamati a svolgere i servizi nell'interesse della collettività.
Questa norma a me sembrava buona e giusta, come quasi tutte le norme della nostra bella Costituzione. Una buona norma non è garanzia di perfezione. Ricordo che da giovane, nel prepararmi ad affrontare i concorsi, sapevo benissimo che poteva capitarmi una prova insolita, oppure una giornata in cui mi sarei beccato l'influenza stagionale oppure un'indigestione di fagioli; poteva anche succedere che tra i commissari d'esame ci fosse qualche corrotto che cambiava i compiti per favorire un altro concorrente. Sono inconvenienti che tuttavia mi non mi facevano dubitare della bontà del metodo, quello di mettere tutti i candidati davanti alla medesima prova e valutare i risultati con un criterio uguale per tutti.
Il metodo del concorso era associato al principio di buon andamento e di imparzialità della pubblica amministrazione (così è stabilito dall'art. 97 della Costituzione). Il corcorso svolto correttamente è un'estrinsecazione del principio di imparzialità e fa da corollario al buon andamento perché assicura che siano i migliori candidati ad essere chiamati a svolgere i servizi nell'interesse della collettività.
Questa norma a me sembrava buona e giusta, come quasi tutte le norme della nostra bella Costituzione. Una buona norma non è garanzia di perfezione. Ricordo che da giovane, nel prepararmi ad affrontare i concorsi, sapevo benissimo che poteva capitarmi una prova insolita, oppure una giornata in cui mi sarei beccato l'influenza stagionale oppure un'indigestione di fagioli; poteva anche succedere che tra i commissari d'esame ci fosse qualche corrotto che cambiava i compiti per favorire un altro concorrente. Sono inconvenienti che tuttavia mi non mi facevano dubitare della bontà del metodo, quello di mettere tutti i candidati davanti alla medesima prova e valutare i risultati con un criterio uguale per tutti.
Poi è arrivato il nuovo corso imposto dalla nuova ideologia che si chiama "non ci sono più ideologie".
Nei miei ricordi il nuovo corso iniziò nell'ottobre 1992, quando la Gazzetta Ufficiale pubblicò la legge delega che avrebbe poi portato al decreto legislativo n. 29 del 3 febbraio 1993, cioè il primo passo verso la "privatizzazione del pubblico impiego". Quel testo, dopo una bella premessa riguardante le finalità di razionalizzazione e di maggiore efficienza delle pubbliche amministrazioni, stabiliva che gli impiegati pubblici non erano più uomini con funzione di "pubblici ufficiali", bensì "risorse umane". Restavano pubblici ufficiali i dirigenti a cui sarebbe stato affidato il compito di gestire le umane "risorse" altrui. I dirigenti non erano più impiegati di grado superiore, ma qualcosa di ontologicamente diverso. A quei tempi non si usava ancora la parola "casta" tuttavia è ora evidente che la discriminazione tra i diversi livelli di esercizio delle funzioni pubbliche stava introducendo una divisione in caste nel pubblico impiego. I dirigenti erano una casta superiore e venivano a loro volta separati dai politici, l'altra casta (megagalattica direbbe Fantozzi) a cui spettava solo la funzione di controllo e di indirizzo sull'attività dei dirigenti.
Da allora il normale impiegato o funzionario è scaduto a livello di "paria", un fannullone rubastipendio che non può paragonarsi ad un normale salariato. Il pubblico impiego è stato ridotto di numero, ridotto nelle paghe, frustrato nelle possibilità di carriera, squalificato e denigrato. Da allora una serie di nuove norme, sempre astrattamente ispirate all'efficienza, ha disarticolato l'organizzazione degli uffici pubblici introducendo modelli incompatibili con la specializzazione e con la qualificazione individuale (accorpamenti, turnazioni, front-office, ecc.). Da allora la pubblica amministrazione è risultata sempre più inefficiente, ma la crescente inefficienza non viene mai letta come pessimo risultato delle riforme degli anni novanta, al contrario viene usata come dimostrazione dell'incapacità e della fannullaggine degli impiegati, quindi si invocano sempre nuove riforme orientate nelle stessa direzione: privatizzazione, competizione, disgregazione, squalificazione.
Un caso esemplare di come agiscono le populistiche riforme del nuovo totalitarismo ideologico imperante è l'autocertificazione. Un'idea introdotta da una norma del 1968 che concedeva ai cittadini la facoltà di autocertificare dati e situazioni di propria pertinenza. Veniva poco utilizzata a causa di una certa diffidenza ma anche per ragioni pratiche: non sempre il cittadino è depositario delle corrette informazioni e non sempre può assumersi la responsabilità di ciò che dovrebbe autocertificarsi. Dopo un rilancio tentato nell'anno 2000 l'autocertificazione è stata trasformata in un obbligo dalla "legge di stabilità" per l'anno 2012. Ora le pubbliche amministrazioni, quelle che custodiscono le informazioni da certificare, devono rifiutarsi di rilasciare i certificati e devono costringere il richiedente ad autocertificarsi presso l'amministrazione destinataria delle informazioni, la quale dovrà poi aprire un'altra procedura per l'eventuale verifica. L'assurdità è palesata dalla dicitura che la legge impone nelle certificazioni che il cittadino ha eventualmente ottenuto: "Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi". Se il certificato esiste già non si può usare!
Il potere certificatorio, tipico della P.A., è stato attribuito coattivamente ed esclusivamente al cittadino, a prescindere da ogni sua volontà o capacità e senza nessuna considerazione per i costi o i disagi. Dove bastava un impiegato che emetteva un certificato, ora c'è un rifiutante, un autocertificante, un ricevente, un verificante, il vecchio impiegato che certificherà a richiesta del verificante, il valutatore delle verifiche e infine un controllore dell'adeguatezza delle verifiche sulle autocertificazioni. Dov'è l'efficienza? dov'è la razionalizzazione? In realtà quello che conta è solo l'affermazione del dogma della privatizzazione. Qui è stata privatizzata la funzione certificatoria e questo giustifica qualunque costo e qualunque disagio. Superfuo aggiungere che tale macchinoso sistema consente di accettare e non verificare autocertificazioni abusive perché c'è una notevole differenza tra il vecchio impiegato a cui qualcuno richiedeva di firmare un certificato falso (reato facilmente riconoscibile) e il nuovo impiegato a cui qualcuno può chiedere di evitare senza alcun rischio che proprio quell'autocertificazione millantatoria finisca nel campione da controllare. Quanti procedimenti si fondano su documenti prodotti così?
Anche la privatizzazione dei contratti di lavoro ha arrecato un gravissimo danno all'efficenza e imparzialità nella pubblica amministrazione. Ciò che un tempo assicurava un abituale rispetto delle regole da parte degli impiegati pubblici era il loro timore di perdere il posto e con esso quei piccoli privilegi che lo differenziavano da un lavoro autonomo o privato (sicurezza, certezza dei diritti, non ricattabilità da parte dei superiori, pensione di anzianità facilmente raggiungibile). Erano privilegi che non costavano niente all'erario. Parificando l'impiego pubblico al lavoro privato è scomparsa la principale ragione degli scrupoli tipici del pubblico ufficiale. Diventato un normale salariato non ha più alcuna ragione di identificarsi con i propri doveri d'ufficio. Un precario che lavora dentro un ufficio pubblico perché dovrebbe farsi carico di doveri connessi con il pubblico interesse? perché dovrebbe essere più attento e scrupoloso di qualunque altro lavoratore a giornata? Da qui l'aumento di corruzione e di pressapochismo a cui assistiamo quotidianamente. Forse perché glielo impone un dirigente? No, perché neanche quest'ultimo ha interesse a farlo.
La corruzione è aumentata anche tra i dirigenti che hanno conservato i privilegi dell'inquadramento pubblico, ma qui il motivo è diverso. Il dirigente infatti resta nascosto agli occhi del pubblico, non affronta mai le richieste e il giudizio degli utenti, si colloca dietro la cortina dalle sue "risorse umane", quelle che può gestire a suo piacimento e senza rischio. Inoltre si trova a dover servire direttamente i decisori politici che non possono interferire direttamente negli atti della P.A., ma possono ricattare i dirigenti mediante la minaccia dello "spoil system". Ecco perché in tutti gli scandali degli ultimi venti anni si può vedere che la separazione di funzioni tra politici e dirigenti ha favorito la loro complicità nel malaffare.
I politici della prima repubblica dovevano fare i conti con una tecnocrazia delle pubbliche amministrazioni che ora è stata polverizzata. Non era facile condizionare un funzionario o un impiegato nominato a seguito di regolare concorso, che aveva avuto una carriera completamente regolata da norme di diritto. La stabilità del posto di ruolo poteva cedere solo all'esito di un procedimento disciplinare svolto con adeguate garanzie di difesa. L'orgoglio di appartenenza non trovava ragione nell'elevata retribuzione, praticamente inesistente nella prima repubblica, ma spesso si radicava nel rigore con cui il "pubblico ufficiale" svolgeva il proprio ruolo. Si chiamava anche "senso dello stato" o "senso del dovere". Oggi c'è solo il senso del denaro che porta molti dirigenti a sommare le laute paghe con benefit pubblici e privati. Non c'è confine. E oggi basta corrompere un dirigente per ottenere quello che prima avrebbe richiesto la corruzione di un intero apparato. Eccola l'efficienza!
I capi dalle nuove amministrazioni "privatizzate" non sono impiegati che hanno fatto carriera, e non sono neanche padroncini che rischiano qualcosa di proprio, sono gestori di "risorse umane" nominati per grazia di qualche politico. Quindi rendono conto solo al politico di turno.
Nella scuola questo nuovo sistema non era ancora entrato. Per quanto squalificati e avviliti gli insegnanti hanno ancora un'autonomia di pensiero e di giudizio, ma la recente riforma imposta da Renzi porterà il nuovo corso anche dentro le scuole. Precarizzazione dei docenti, ridotti a risorse umane gestite da dirigenti scolastici eteroguidati dai politici e dagli "sponsor" che manterranno i cordoni della borsa e potranno esercitare "l'indirizzo e il controllo". Altro che "presidi-sceriffi", saranno solo dirigenti obbedienti e remissivi come tutti gli altri. Poi probabilmente la stessa sorte toccherà ai magistrati.
Nel documento di presentazione della "Buona Scuola" presentato nel settembre dello scorso anno si enunciava entusiasticamente la volontà di uscire dal "grigiore dei trattamenti indifferenziati". Ora ci dicono che anche nelle università dovrà sparire ogni traccia di uguaglianza: la laurea conseguita col massimo dei voti in un ateneo legalmente riconosciuto non potrà più avere lo stesso valore di una identica laurea conseguita col massimo dei voti in un altro ateneo legalmente riconosciuto. Uguaglianza e parità sono visti sempre come vecchio e fastidioso grigiore. Col nuovo sistema si potranno valutare gli atenei. Nessun professore e nessun rettore potrà più fare di testa sua senza rischiare di vedersi abbassare il valore dei titoli rilasciati e con esso il valore di tutta la struttura universitaria.
Il passo successivo nella direzione imposta dalla meritocrazia concorrenziale sarà il modello Masterchef. Chi salirà di un gradino in una delle nuove gerarchie magicamente create da valutazioni soggettive, punteggi e promozioni, potrà malatrattare e mobizzare i sottoposti con la stessa grazia dei cuochi televisivi che qualcuno ha voluto porre a giudici di altri cuochi. Ma questo non tutti l'hanno capito, come non tutti capivano i cambiamenti in arrivo nell'ottobre del 1992, quando la Gazzetta Ufficiale pubblicava la legge delega n. 421.
Molti non l'hanno capito neanche adesso e pensano che il passaggio dalla nomina dei vincitori di concorso alla scelta tra diversi presentatori di curriculum sia stato un passo avanti nell'affermazione della meritocrazia.
Quale merito c'è nel poter esibire un curriculum più ricco di un altro? Per i giovani la differenza è una sola: il mio curriculum contiene molti corsi e master pagati dal mio papà, contiene le esperienze svolte nelle aziende degli amici di mio papà, mentre nel tuo c'è solo quel misero 110 e lode che uno squallido gruppo di professori ti ha dato solo perché rispondevi sempre meglio degli altri a qualunque domanda. Che grigiore! Per i più maturi la differenza può essere anche un'altra: il mio curriculum contiene un gran numero di incarichi perché, dopo ogni raccomandazione che mi ha aperto una porta, ho dovuto sempre cambiare aria a seguito dei disservizi che ho causato, mentre nel tuo curriculum c'è scritto solo quel primo incarico che ti è stato dato tanti anni fa da un'unica azienda che ha fatto in modo di non perdere mai la tua collaborazione. Che miseria! che grigiore!
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Autocertificazioni:
LEGGE 4 gennaio 1968, n. 15
D.P.R. 445/2000 artt. 46 e 47
Legge n.183 del 12 novembre 2011 (“legge di stabilità per il 2012”) ha previsto che i certificati rilasciati dalla pubblica amministrazione siano utilizzabili esclusivamente nei rapporti tra privati (per esempio, nelle operazioni di compravendita di un immobile) e debbano riportare, pena la loro nullità, la dicitura: "Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi".
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