6 maggio 2013

Cittadinanza e naturalizzazione

La cittadinanza italiana viene attribuita in base al principio dello jus sanguinis, che ora alcune forze politiche vorrebbero cambiare con l’opposto principio dello jus soli. Ci si limita a dire che è una innovazione necessaria per riconoscere un naturale diritto degli immigrati, ma sembra non esserci una adeguata conoscenza della legge vigente e dei reali problemi connessi.
 
In base al principio dello jus sanguinis la cittadinanza viene attribuita, fin dalla nascita, ai figli dei cittadini italiani (è sufficiente un genitore italiano senza alcuna considerazione per il luogo di nascita). E' il principio adottato da tutti gli stati di origine nazionale.
In base allo jus soli la cittadinanza è determinata dal luogo di nascita ed è il principio normalmente adottato negli stati formati per immigrazione (USA e Australia) dove si voleva evitare che la cittadinanza restasse prerogativa quasi esclusiva degli aborigeni.

In Italia il principio dello jus sanguinis è temperato da altre regole che consentono anche agli stranieri di acquisire la cittadinanza italiana e diventare italiani per naturalizzazione. Vediamoli.




La naturalizzazione degli stranieri

La naturalizzazione può derivare da un atto di adozione (il minore straniero che viene adottato da una coppia di italiani), da matrimonio (lo/la straniero/a che sposa un cittadino/a italiano/a), oppure dopo un periodo di residenza stabile in Italia. In questi casi l'attribuzione della cittadinanza è soggetta a condizioni che vanno verificate prima della concessione. Il periodo minimo di permanenza è diverso se lo straniero è cittadino europeo (minimo quattro anni) o cittadino extracomunitario (minimo dieci anni). Ci sono anche casi particolari in cui sono previsti tempi ridotti. Tutte le condizioni sono specificate nella Legge n.91 del 5.2.92.

L'art. 4, secondo comma, della legge stabilisce anche che "Lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data."

Quindi i figli degli immigrati, se sono nati in Italia, hanno già un diritto alla cittadinanza italiana, ma la ottengono solo dopo aver raggiunto la maggiore età. Finchè sono minorenni mantengono la cittadinanza dei genitori e devono seguire i genitori nel caso in cui decidessero di rientrare nel paese d'origine o di emigrare verso altri stati. Da maggiorenni potranno scegliere senza che la loro scelta abbia effetti sulla posizione dei genitori.

Agli stranieri l'Italia riconosce tutti i diritti della persona. Nell'accesso ai servizi sanitari e di istruzione non può essere fatta alcuna discriminazione tra italiani e stranieri, questa regola spesso disturba gli xenofobi, ma è già così. Non si fanno differenze neanche tra figli di stranieri con regolare permesso di soggiorno e figli di clandestini perché i bambini non possono pagare le conseguenze della eventuale situazione irregolare dei genitori. Non si fanno differenze neanche tra i figli di immigrati nati in Italia e quelli giunti insieme ai genitori. Questi ultimi però non avranno diritto a chiedere la cittadinanza italiana a 18 anni, perché questo è un diritto che la legge vigente riconosce eccezionalmente per jus soli, cioè solo a chi è nato in Italia. Lo jus soli pur limitato a poche situazioni (figli di stranieri, di apolidi o di ignoti) crea quindi una discriminazione. Infatti appare assolutamente incomprensibile la differenza che la legge pone tra il figlio di immigrati arrivato in Italia in tenerissima età e il figlio nato in territorio italiano. E' una discriminazione che può produrre grandi differenze dentro la stessa famiglia: il fratello maggiore, che era già nato alla data di immigrazione dei genitori, potrà naturalizzarsi solo dopo molti anni di soggiorno e di regolare lavoro svolto da maggiorenne, mentre il fratello minore nato in Italia diventerà italiano con semplice dichiarazione al compimento dei 18 anni.

Evitare le ingiuste discriminazioni

Credo che il modo migliore per evitare la discriminazione tra situazioni sostanzialmente analoghe sia quello di abolire quel discriminatorio frammento di jus soli presente nella legge vigente. Si potrebbe invece consentire la naturalizzazione dei figli di immigrati, indipendentemente dal luogo di nascita, in modo che tutti i figli di immigrati regolari che compiono la maggiore età in Italia dopo avervi conseguito titoli di studio (licenza elementare, licenza media ed eventuale diploma) possano acquisire la cittadinanza italiana alla maggiore età e sia loro consentito di accedere senza difficoltà al mondo del lavoro e di godere dei diritti politici.
Mi risulta difficile capire quale logica abbia portato alla richiesta di introdurre in Italia il principio dello jus soli, cioè la cittadinanza concessa in base al luogo di nascita. Lo jus soli stravolgerebbe la legge e non risolverebbe alcun problema. Inoltre è noto che paesi come gli USA che seguono le regola dello jus soli si trovano a dover gestire un "turismo delle nascite", cioè un flusso immigratorio di donne che si recano sul territorio statunitense per il tempo strettamente necessario a far nascere e registrare il figlio come cittadino americano.

I sostenitori della riforma dello "jus soli" pensano probabilmente di introdurre insieme al nuovo principio diversi correttivi volti ad evitare i numerosi effetti negativi: la cittadinanza sarebbe attribuita ai soli figli di immigrati regolari e probabilmente solo a quelli residenti da almeno 5 anni; poi, in base ad un altro correttivo, sarebbe possibile attribuirla anche ai minori immigrati in tenera età (negando così lo stesso principio dello jus soli che si vuole introdurre), ma non si rendono conto delle enormi complicazioni che si verrebbero a creare. Un periodo minimo di residenza dei genitori e un limite di età del figlio immigrato insieme ai genitori farebbero sorgere nuove discriminazioni tra chi rientra in questi limiti, comunque arbitrari, e chi resta fuori per un solo giorno.

Il principio dello "jus soli" stravolge il fondamento nazionale della cittadinanza per risolvere problemi che riguardano la naturalizzazione. Lo jus soli non porterà alcun beneficio reale ai figli degli immigrati. Infatti l'attribuzione della cittadinanza italiana prima del compimento dei 18 anni non produce vantaggi, riducendosi alla titolarità di diritti politici che il minorenne non può esercitare. Produce però lo svantaggio di negare ogni possibilità di scelta. Mentre la legge attuale consente al figlio di stranieri, per esempio inglesi o giapponesi residenti in Italia, di optare per la cittadinanza italiana al compimento dei 18 anni, con l’introduzione dello jus soli il figlio sarà italiano fin dalla nascita assumendo uno status che non sempre è considerato compatibile con una seconda cittadinanza e non sempre è ammessa la rinuncia.

La frettolosa e confusa campagna di promozione dello jus soli

La campagna di propaganda per stravolgere il principio riconosciuto in quasi tutta Europa è stata avviata senza considerare che stranieri non sono soltanto gli immigrati provenienti da paesi poveri o profughi in cerca di nuova collocazione, ai quali l'acquisto della cittadinanza italiana può apparire sicuramente vantaggioso, ma stranieri sono anche i cittadini europei, giapponesi o americani che non avrebbero molti vantaggi a trovarsi un figlio italiano solo perché casualmente nato in Italia. In questi casi lo jus soli produrrebbe molte complicazioni.

La cittadinanza italiana del figlio si riverbera anche sui genitori? se sì, il turismo delle nascite sarà molto conveniente perché una famiglia che ha già numerosi figli può venire in Italia per il tempo necessario a far nascere l'ultimo figlio a cui spetterà la cittadinanza per "jus soli", quindi chiederanno di essere naturalizzati per garantire la permanenza in Italia del figlio e di conseguenza saranno italiani anche gli altri figli; se invece la nuova legge non prevedesse alcun diritto per i genitori si avrebbero famiglie con cittadinanza mista, che si troveranno a gestire difficoltà burocratiche finora inesistenti. Un gran pasticcio.

Se vogliamo fare una legge per agevolare i figli degli immigrati dobbiamo mantenere la nostra regola dello "jus sanguinis" e cancellare quel fastidioso frammento di "jus soli" presente nella legge vigente, da sostituire con un criterio chiaro per l’attribuzione della cittadinanza ai figli degli stranieri cresciuti e istruiti in Italia.

I figli maggiorenni degli immigrati

Poi dobbiamo affrontare un altro problema, che è quello degli immigrati con figli maggiorenni. Oggi se un immigrato ottiene la cittadinanza per naturalizzazione (lavoratore residente da oltre 10 anni) può trasmetterla ai figli minorenni, ma non ai maggiorenni. Così un immigrato che arriva in Italia con due figli di 10 e 5 anni, dopo dieci anni di lavoro potrà chiedere di essere naturalizzato e aspetterà i tempi burocratici della concessione. Quando avrà acquisito la cittadinanza il suo figlio maggiore avrà più di 20 anni e non ne potrà beneficiare, quello minore sì, ma solo se l’iter burocratico non sarà troppo lungo. Se vogliamo fare una buona riforma non dobbiamo guardare il luogo di nascita, ma dobbiamo fare in modo che le lungaggini burocratiche non si trasformino in una negazione di diritti. Credo che sia giusto consentire anche ai figli maggiorenni di optare per la nuova cittadinanza del genitore imponendo alcune condizioni (per esempio che fosse già residente in Italia prima della maggiore età e abbia perseguito almeno un titolo scolastico italiano). Ma sempre al di fuori di qualunque rilevanza del luogo di nascita.

L'inopportunità di ampliare le valutazioni affidate alla burocrazia

Basta guardare i casi per capire che le difficoltà degli immigrati non dipendono dalla legge, ma dalla burocrazia. Chiedere all'immigrato che risiede e lavora da 10 anni in Italia di certificare i suoi rapporti di lavoro oppure, se ha svolto lavoro autonomo, di dimostrare redditi familiari superiori a quelli di molte famiglie italiane può creare difficoltà insormontabili, ma lo jus soli non risolverà niente e complicherà tutto.

Per lo straniero nato in Italia la legge già prevede il diritto alla cittadinanza, però la norma richiede giustamente che sia stato anche residente legalmente e senza interruzioni, cioè deve essere anche cresciuto ed educato in Italia, ma spesso la burocrazia considera "interruzione" un semplice viaggio di poche settimane nel paese d'origine dove magari l'hanno portato da bambino a conoscere i nonni e gli zii. Qui non abbiamo una legge sbagliata, ma una burocrazia ottusa. Allora è questa che dobbiamo cambiare, non la legge. Le famiglie italiane mandano i figli all’estero per scambi interculturali anche per un intero anno scolastico, perché non dovrebbe farlo anche il figlio degli immigrati? Si potrebbe eliminare dalla norma il termine “interruzione” e stabilire che la residenza in Italia si considera continuativa quando non vi siano stati allontanamenti di durata superiore a 18 o 24 mesi.

Se davvero l'Italia dovesse abbandonare lo "jus sanguinis" per adottare lo "jus soli", i figli dei sanmarinesi nati a Rimini o a Pesaro saranno tutti cittadini italiani e lo stesso accadrà a Roma per i figli dei cittadini del Vaticano, ma cosa succederà ai figli degli italiani nati casualmente all'estero? avranno un diritto proprio alla cittadinanza italiana in deroga al principio dello jus soli oppure dovranno fare la stessa trafila degli stranieri perché privi del certificato di nascita in territorio italiano? Il principio dello jus soli ci porta verso una legge macchinosa e per certi versi assurda,  benché pensata per un giusto fine.  I promotori della riforma già dicono che non ci saranno automatismi, ma forse non vedono che in tal modo si genera una burocratizzazione delle valutazioni che graverà sui cittadini e ancor più sugli stranieri. I diritti della persona devono derivare direttamente dalla legge, con riconoscimenti automatici, solo così si superano le attuali difficoltà.

Prima di cambiare una legge fondamentale come quella della cittadinanza occorre un dibattito attento e sereno che coinvolga anche gli esperti (soprattutto i giuristi) invece è stata avviata una campagna propagandistica che reagisce con accuse di "razzismo" a qualsiasi obiezione. Intorno alla questione si stanno creando strani silenzi e spiacevoli malintesi.

Aggiungo che per fortuna c'è anche qualcuno che offre una informazione utile e corretta come l'articolo di Graziella Bertocchi su LaVoce.info. Giustamente parla di regime misto da comparare con altri regimi misti vigenti in Europa. La contrapposizione Soli/Sanguinis genera solo confusione. 

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