1 ottobre 2008

Il diritto di Antigone

L'antica città di Tebe era rimasta senza comando dopo la sventura che aveva colpito il re Edipo. Creonte, fratello della regina, si proclamò nuovo re di Tebe, ma molti lo consideravano un usurpatore. I due figli maschi di Edipo si divisero sul destino della città: Eteocle si mise agli ordini del nuovo re, mentre Polinice fuggì e si unì a coloro che avevano organizzato un attacco per liberare la città. Così i due fratelli si trovarono a combattere l'uno contro l'altro e si ammazzarono reciprocamente:
I due sciagurati, da un solo padre e da una sola madre nati, l'uno contro l'altro vittoriosa lancia drizzando, di comune morte ebbero parte entrambi.
Al termine della battaglia i ribelli fuggirono e Creonte ordinò di celebrare funerali solenni per Eteocle, morto in difesa della città, e stabilì con un editto che il corpo di Polinice dovesse rimanere insepolto, lasciato in pasto agli uccelli, con pena di morte per chiunque osasse rimuoverlo. Era il disonore con cui voleva colpire il ribelle.

Antigone, figlia di Edipo e sorella di Polinice, sentiva l'obbligo di dare sepoltura al fratello: "Creonte non ha il diritto di impedirmelo".
L'altra sorella, Ismene, cercò di dissuaderla: "Noi abbiamo il dovere di obbedire agli ordini che sono stati dati". Ma Antigone riteneva che l'obbligo morale verso il fratello morto non poteva essere cancellato dall'ordine di un re. Perciò ella fece quel che in coscienza sentiva necessario fare.

La ragazza fu arrestata dalle guardie e condotta davanti al re per rispondere della sua trasgressione. Alle accuse di Creonte ella rispose con queste parole:
"Per me non fu Zeus a proclamare quel divieto, e nemmeno Dike, che dimora con gli dèi inferi, fissò tali leggi per gli uomini, e io non credo che i tuoi editti abbiano tanta forza da poter trasgedire le leggi non scritte e incrollabili degli dèi. Infatti queste non sono di oggi o di ieri, ma sempre vivono e nessuno sa quando apparvero. E di esse io non volevo scontare la pena al cospetto degli dèi, per paura della volontà di alcun uomo.(...) Se a te sembra che io ora agisca da folle, questa follia la devo, forse, ad un folle."
Per Antigone non era follia ribellarsi a una legge ingiusta, la follia è nella pretesa di emanare leggi che contrastano con la coscienza degli uomini. Così una ragazza rimproverava il re in nome di una giustizia che sta oltre il potere dei re.

Ismene, la sorella che aveva deciso di obbedire alla legge di Creonte, intervenne in difesa di Antigone e fu imprigionata con lei. Creonte infatti non poteva accettare che le sue leggi non fossero rispettate, ma quando la legge ha bisogno di violenza per farsi valere dimostra tutta la sua debolezza.