16 aprile 2013

Scuola come diritto o come investimento

Ci sono parole, apparentemente neutre, dietro le quali si nascondono due opposte visioni della società civile rispetto alla educazione dei giovani.

Il referendum consultivo indetto a Bologna per il prossimo 26 maggio fa emergere alcuni contrasti. Ce lo spiega un articolo di Francesca Coin su Roars.


L'istruzione è un diritto dei bambini/ragazzi a cui deve corrispondere il dovere della comunità/stato di assicurare a tutti una istruzione che possa portare i capaci e i meritevoli fino ai gradi più alti degli studi (art.34 Cost.) oppure l'istruzione è un investimento economico che la comunità/stato fa in ragione di opportunità contingenti?

La differenza tra queste due opposte concezioni è enorme, ma tende a nascondersi dietro formule che non tutti riescono a decifrare: il diritto previsto dall'art.34 Cost. promuove il pieno sviluppo della personalità umana, basato su libertà e consapevolezza; l'investimento tende invece allo sviluppo umano integrale.

L'articolo di Francesca Coin ci ricorda che il concetto di istruzione come investimento risale agli anni Sessanta, alla American Economics Association e all'opera di T.W. Schultz e G. Becker, allievo di Milton Friedman e teorico del concetto di capitale umano. L'idea era quella di non considerare più l'istruzione come spesa sociale derivante dalla responsabilità collettiva, bensì come un investimento razionale che dipende da una valutazione di opportunità. La Economics of education rompe in tal modo una tradizione di origine illuminista che si richiamava a Condorcet.

L'istruzione non è più un diritto e non rappresenta più un fondamento del vivere collettivo. E’ un investimento e dipende da una valutazione razionale di costi e benefici. A questa idea si aggiunge il principio di sussidiarietà in base al quale lo Stato non deve intervenire dove è già presente l'azione della società civile nelle sue varie articolazioni (educazione familiare, scuole confessionali, servizi di formazione aziendale, ecc.)

La scuola come spazio comune di proliferazione e contaminazione delle differenze lascia il posto alle tante scuole che trasmettono settariamente (in autonomia) diverse visioni del mondo e della vita.

La Repubblica democratica rinuncia al proprio ruolo di garante dei diritti e dei valori, per lasciare il posto ad un insieme di tribù che rivendicano la propria autonomia culturale e lo fanno dichiarando che l'azione educativa privata svolge un servizio pubblico e consente allo stato di risparmiare sugli investimenti. Il vantaggio economico dovrebbe giustificare il capovolgimento della concezione educativa.

Se a questo aggiungiamo anche l'idea che i servizi educativi (pubblici per definizione, ma privati e autonomi nella gestione) sono finalizzati al Long Life Learning (apprendimento che si estende su tutto l'arco della vita) ecco che l'educazione dei giovani come formazione dei futuri cittadini esce dall'orizzonte scolastico e sprofonda ancor più nella sfera privata dove qualcuno avrà ottime possibilità e altri nessuna.

Questa corrente di pensiero neoliberista trova sostegno anche tra le forze politiche di sinistra e viene percepita da molti come movimento liberazione dai tentacoli del Leviatano statale.

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