20 ottobre 2023

Il fascismo degli antifascisti certificato da Pasolini

Ma chi sono i fascisti? e chi sono gli antifascisti? 

Per rispondere alla prima domanda c'è la storia di Mussolini e del ventennio di  dittatura fascista. I fascisti allora erano quelli in camicia nera, col fez e il manganello, ignoranti e violenti, sognavano guerre e conquiste, militarizzarono anche i bambini, non ammettevano alcun dissenso, esigevano cieca obbedienza: "Mussolini ha sempre ragione", "Credere, Obbedire e Combattere". Poi arrivò una versione peggiore chiamata nazismo, che esaltava la razza e pianificava genocidi per le razze inferiori.

Il 1945 pose fine alla storia italiana del fascismo e alla storia tedesca del nazismo, ma sbaglia chi le vorrebbe considerare storie chiuse e concluse. Il fascismo ha un prima e un dopo. Il prima fu chiaro fin dall'inizio, quando il giovanissimo Piero Gobetti lo vide nascere e lo definì "autobiografia della nazione".  Nella coscienza collettiva dell'Italia i caratteri del fascismo c'erano sempre stati: la facile rinuncia alla lotta politica unita l'atteggiamento servile di chi preferisce perseguire i favori piuttosto che i diritti. In tal modo si offre spazio alle prevaricazioni. Se la regola è la sottomissione volontaria dei tanti, le istanze di legalità e di giustizia diventano bagliori di ribellione da reprimere immediatamente e anche con violenza.

Il dopo ha consentito una esportazione del fascismo in Spagna, in Grecia, in Argentina, in Cile e in tanti altri luoghi dove non sono mai mancate aggressioni, espropri, torture, assassinii... E anche alle nostre porte il fascismo non mai smesso di bussare a suon di omicidi, bombe, organizzazioni paramilitari e tentativi di colpo di stato. Dopo i tentativi di Borghese e la sanguinosa strategia della tensione, i piani elaborati dalla Loggia P2 sono stati attuati seguendo procedure apparentemente democratiche, ma senza poter nascondere la matrice fascista: Licio Gelli era un complice del sanguinario regime militare argentino, coinvolto nell'organizzazione di stragi e fino alla fine ha continuato a proclamarsi fascista.


Il fascismo è l'eterna minaccia che si oppone ad ogni democrazia.  

La democrazia non ha alcuna speranza di resistere senza anticorpi capaci di bloccare sul nascere ogni risorgenza di  fascismo, che ovviamente si presenterà in forme sempre nuove. Da qui la tendenza a lanciare accuse di fascismo anche dove non ci sono manganelli e camice nere, accuse che potrebbero anche bloccare idee e proposte che non rappresentano alcuna minaccia per i diritti civili e per le libertà democratiche:
- vuoi obbligarmi a pagare le tasse? sei un fascista!
- vuoi obbligarmi a mandare i figli a scuola? sei un fascista!
- vuoi costringermi ad una vaccinazione? sei un fascista!
- vuoi impedirmi di diffamare i miei avversari? sei un fascista!
- vuoi lasciarmi senza uno spazio in TV? sei un fascista!

E' evidente che non tutte le accuse hanno un fondamento e questo potrebbe essere normale, anche agli anticorpi del nostro organismo capita di reagire a minacce solo apparenti. Se sono pretestuose le accuse si potranno smontare. Però talvolta si giunge al paradosso per cui il collezionista di busti del Duce che vorrebbe riaprire le case di tolleranza e dedicare un mausoleo a Rodolfo Graziani può accusare di fascismo chi cerca semplicemente di fargli rispettare una legge a lui non gradita.
Se proverai a dirgli che sta rovesciando le parti, lui ti citerà il fascismo degli antifascisti teorizzato da Pier Paolo Pasolini. 


Davvero i veri fascisti ora sono gli antifascisti?
Davvero fu Pasolini a teorizzare il capovolgimento delle parti?

No, si tratta di una falsità.
Pasolini accusò il consumismo che tende ad omologare tutti come consumatori di prodotti industriali. Lo paragonò ad una nuova forma di fascismo che stava distruggendo gli usi, i costumi e perfino i caratteri della gente. Un fascismo che agiva senza squadristi, potendo usare una forma invisibile di costrizione psicologica.
Il materialismo consumistico usa modelli pubblicitari per forgiare i desideri, non usa la minaccia fisica o l'olio di ricino, non abolisce il diritto di voto e neanche la libertà di stampa, ma di fatto porta tutti allo stesso stile di vita, come se tutti avessero spontaneamente di deciso di credere e obbedire ai nuovi modelli e perfino di combattere per sentirsi perfettamente integrati nella moderna società dei consumi.
Guy Debord ha poi dimostrato che questa nuova società è tutta basata sulle apparenze: una società dello spettacolo.

Attenzione - ci dicevano - è un nuovo fascismo perché ci rende servi e incapaci di scegliere liberamente quel che vogliamo essere e che vogliamo fare. Avevano ragione. L'allarme lanciato da Pasolini e Debord non era infondato. Si poteva anche facilmente constatare che i fautori dell'omologazione consumistica potevano tranquillamente proporsi come democratici, mostrarsi rispettosi delle liturgie elettorali (anche la politica diventa spettacolo) e avrebbero potuto ben dichiararsi antifascisti mostrando disprezzo per i vecchi simboli del nazi-fascismo. Ed è solo per questa singolare possibilità che si può vedere un subdolo fascismo nascosto dietro un dichiarato antifascismo. Nient'altro che questo.

Sia chiaro però che l'allarme lanciato da Pasolini e Debord è un allarme antifascista. Non capovolge i ruoli. Ci mostra una nuova forma di potere che potrebbe vanificare la democrazia, ma questo allarme non nega e non riduce l'importanza di contrastare il fascismo in tutte le sue forme, e soprattutto quelle usuali che restano apertamente antidemocratiche, illiberali, prevaricatrici, violente e razziste. 

Rispetto al fascismo dei fascisti Pasolini dimostrava anche nei fatti e coi pugni il proprio radicale antifascismo. Nella foto che ho ripubblicato qui lo vediamo mentre si scaglia contro un fascista all'interno di un cinema. Un episodio che lo stesso Pasolini volle raccontare nel numero 40 del settimanale Vie Nuove del 4 ottobre 1962:

…Il pivello fanatico (Serafino Di Luia numero due dello squadrismo neofascista romano dopo Delle Chiaie) che, in cima alle scale della galleria del Quattro Fontane, nel silenzio che seguiva la morte di Ettore appena accaduta sullo schermo, mi ha affrontato con l’urlo stentoreo che sapete (“Pasolini, in nome della gioventù nazionale, ti dico che fai schifo”) […] L’ingiustizia dell’iniziativa patriottica è stata largamente compensata dagli incivili schiaffi che ho allentato all’eroe, non appena, sicuro dell’impunità, ha chiuso quella povera bocca di minus habens strillante il nulla.
Dovrei vergognarmi di quella mia reazione improvvisa, degna della giungla: sono “partito per primo”, come dicono i tanto disapprovati ragazzacci del suburbio, e gli ho dato “un sacco di botte”.
Dovrei vergognarmi, e invece devo constatare che, date le circostanze che mi riducono a questo – a ragionare coi pugni – provo una vera soddisfazione: finalmente il nemico ha mostrato la sua faccia, e gliel’ho riempita di schiaffi, com’era mio sacrosanto diritto.
 

La reazione istintiva di Pasolini non contraddice le sue idee, anzi è una conferma del suo giudizio politico sul ruolo della Resistenza antifascista e poi del Movimento Studentesco

«Nel '44-'45 e nel '68, sia pure parzialmente, il popolo italiano ha saputo cosa vuol dire - magari solo a livello pragmatico - cosa siano autogestione e decentramento, e ha vissuto, con violenza, una pretesa, sia pure indefinita, di democrazia reale. La Resistenza e il Movimento Studentesco sono le due uniche esperienze democratiche-rivoluzionarie del popolo italiano. Intorno c'è silenzio e deserto: il qualunquismo, la degenerazione statalistica, le orrende tradizioni sabaude, borboniche, papaline.»
[Dalla rubrica Il Caos, Lettera al Presidente del Consiglio, Tempo, anno XXX, n. 39, 21 settembre 1968, citato da Internazionale 29 ottobre 2017]

Sì, avete letto bene: la Resistenza dei Partigiani e il Movimento Studentesco del 1968 come le due uniche autentiche esperienze democratiche-rivoluzionarie del popolo italiano.

Eppure inevitabilmente vi capiterà di imbattervi nella citazione di Pasolini che condannava i contestatori del '68 e prendeva le difese dei poliziotti:

Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti!
Perché i poliziotti sono figli di poveri.

Pasolini non parlava del Movimento Studentesco e non condannava il '68, nell'occasione della "battaglia di Valle Giulia" lui riconobbe il ruolo che vi ebbero i figli di ricchi borghesi, gattopardescamente uniti alle giuste rivendicazioni degli studenti.

Avete facce di figli di papà. Buona razza non mente. Avete lo stesso occhio cattivo. Siete paurosi, incerti, disperati (benissimo) ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori e sicuri: prerogative piccoloborghesi, amici.

C'era anche Giuliano Ferrara tra loro, uno che dalla militanza comunista è poi passato a servire sempre il padrone del momento, dalla parte giusta a quella sbagliata senza mai perdere l'occhio cattivo, senza mai disapprovare la violenza.

A Valle Giulia, ieri, si è cosi avuto un frammento di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte della ragione) eravate i ricchi, mentre i poliziotti (che erano dalla parte del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque, la vostra!
In questi casi, ai poliziotti si danno i fiori, amici.

No, Pasolini non confondeva le parti, non stava dalla "parte" dei poliziotti e non chiedeva la repressione della protesta a cui lui stesso collaborò. Ma Pasolini non c'è più e nonostante le spiegazioni offerte in molte occasioni (Il Post; La Stampa; WuMing; Internazionale;)  le sue parole vengono spesso usate in modo distorto per fargli dire il contrario di quello che disse.

Riguardo all'antifascismo di Pasolini voglio ricordare che il fratello Guido, partigiano della Brigata Osoppo, fu ucciso da altri partigiani nell'eccidio di Porzus. Una macchia rossa di sangue sulla bandiera dei comunisti, che però non poteva cambiare il più che positivo giudizio storico, politico e morale che Pasolini ebbe della resistenza e del ruolo dei comunisti e degli antifascisti in Italia.

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Aggiornamento - aprile 2024 - quando ho scritto questo post non sapevo che fu lo stesso Pasolini a smentire la diceria che voleva attribuirgli una visione di destra: amico dei poliziotti e avversario del movimento studentesco. Lo scopro ora dall'articolo di Davide Ferrario pubblicato su La Lettura del 14 aprile.


 

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