Quando si parla di lavoro si parla sempre più spesso del lavoro che non c'è (la disoccupazione, ormai fisiologica per una quota sempre crescente); di lavoro precario (quello che abbiamo creato con la narrazione della flessibilità e della mobilità); di mortalità sul lavoro (il lavoro che uccide perché la sicurezza costa); poco si parla di un altro problema: il lavoro distruttivo.
Con questo termine vorrei indicare qualcosa di simile, ma socialmente peggiore rispetto ai lavoretti della gig economy e ai "lavori del cavolo" (i Bullshit Jobs studiati da David Graeber).
I lavori del cavolo sono quei lavori inutili, privi di senso, che possono rappresentare uno spreco e generare frustrazione, ma non sono propriamente distruttivi. Il lavoro distruttivo è quello dei call-center. I centralinisti di un call-center sono spesso chiamati a vendere contratti-truffa, nella gran parte dei casi infastidiscono e rubano tempo ai loro potenziali clienti; nel caso in cui la loro proposta viene accettata si realizza una truffa. Talvolta al raggiro con cui si occultano le clausole sconvenienti della proposta contrattuale si aggiunge anche la falsificazione del consenso in modo da carpire un'accettazione telefonica che non c'è stata. In entrambi questi casi il centralinista svolge un compito di natura criminale, ma non sarà perseguito perché di solito le vittime non sono in grado di risalire alla sua identità personale e comunque non riuscirebbero a dimostrare il reale contenuto della telefonata.
Questa forma di criminalità legalizzata esiste da tempo. In Italia è nata insieme al famigerato numero 144 della SIP, che fu pubblicamente denunciato come truffa da Beppe Grillo.
Call-Center
Erano i primi anni '90, si sollevò uno scandalo, l'automatismo del prefisso 144 fu disattivato, ma il metodo truffaldino venne poi riproposto con altri numeri (166, 899 e 709) e con le varie forme dei Call Center autorizzati in base ad un malinteso principio di libera concorrenza.
La libera concorrenza esiste soltanto se è concorrenza leale, non libertà di delinquere. Occorrono norme rigorose per delimitare il confine tra libertà e abuso. Queste norme non ci sono.
Il triste fenomeno sociale dei Call Center fu descritto nel 2008 da un film di Paolo Virzì (Tutta la vita davanti) tratto da un libro di Michela Murgia. Da allora nulla è stato fatto per arginarlo e per tutelare le vittime.
I call-center si erano diffusi come strumenti di intermediazione utile e perfino necessaria nel libero mercato dei servizi che prendeva il posto dei vecchi monopoli controllati dallo Stato. Erano parte della promessa di libertà di scelta che avrebbe portato innovazione, progresso e risparmio. Il film di Virzì mostrava quello che c'era dentro: i raggiri, la pressione psicologica, lo sfruttamento. Era un modello economico che si prestava facilmente alla truffa nei confronti dei potenziali clienti, nient'altro che voci senza volto all'altro capo del filo. Era un modello distruttivo anche per i lavoratori: sottopagati, con contratti a cottimo, sottoposti a pressioni psicologiche motivate dal miraggio del successo e da ricatti morali. Il telefonista era spesso costretto a farsi complice di una truffa che non avrebbe mai voluto fare, subiva una coercizione paragonabile ad uno stupro morale: la dignità di una persona onesta annientata per costringerlo a farsi strumento di azioni disoneste.
Il lavoro distruttivo
Il lavoro distruttivo non è semplicemente un Bullshit Job, non è un lavoro privo di senso, è criminalità legalizzata che da una parte depreda le vittime dei contratti-truffa e dall'altra sfrutta e umilia i telefonisti che le mettono in atto.
La coercizione a cui è sottoposto il lavoratore non deriva dal contratto, bensì dal suo ingresso in un sistema piramidale. Il Network Marketing è un sistema organizzativo, detto multilivello, che coniuga due meccanismi di controllo e coercizione: la forza di una organizzazione gerarchica piramidale è potenziata da una distribuzione economica a "catena di sant'Antonio". I lavoratori non percepiscono uno stipendio, non hanno vincoli di lavoro subordinato, ma entrano come collaboratori. Svolgono il lavoro in cambio di una promessa di provvigioni crescenti. Devono scalare i livelli e per questo saranno schiacciati dalla gerarchia come se fossero dipendenti e saranno anche derubati, perché il sistema dei compensi si basa sull'idea di un'impossibile crescita infinita, pertanto in gran numero sono destinati fin dall'inizio a non ottenere alcun compenso. Solo i primi (che di solito sono i promotori del sistema) avranno profitti e li avranno anche quando il lavoro sarà interamente svolto dai loro sottoposti.
Il Multi-Level Marketing (MLM)
L'organizzazione MLM può essere assimilata ad una "catena di Sant'Antonio" oppure alla truffa finanziaria denominata "schema Ponzi" che premia i primi investitori a scapito di coloro che arriveranno successivamente, attratti dai buoni risultati iniziali.
Lo stimolo motivazionale era già richiesto nei Call-Center, nelle aziende MLM la "motivazione" diventa il motore centrale del sistema anche se teoricamente non caratterizza la struttura aziendale e talvolta è poco visibile. Le imprese commerciali che adottano il sistema MLM investono molto sulla "formazione" dei collaboratori. E' una formazione di carattere psicologico volta a galvanizzare i venditori e può giungere fino a forme estreme paragonabili ad un lavaggio del cervello.
In qualche caso il sistema è stato utilizzato anche in imprese di consulenza e di personal coaching nelle quali lo stimolo motivazionale si può trasformare in un condizionamento mentale simile a quelli delle sette religiose, giungendo perfino alla schiavizzazione psichica e fisica. Il caso più emblematico fu quello di Nxivm che negli USA ha portato a varie condanne penali.
A prescindere dai casi estremi, sarebbe bene riflettere sull'azione dei meccanismi intrinsecamente distruttivi. Dobbiamo continuare a considerarli leciti pur sapendo che possono produrre gravi danni economici e psicologici, sia ai potenziali clienti, sia a lavoratori? Sistemi di tal fatta non dovrebbero essere almeno inquadrati tra le "attività pericolose" da assoggettare a controlli molto stringenti?
La domanda ormai va posta anche al di fuori del mondo dei Call-Center e delle organizzazioni piramidali di MLM poichè i sistemi di incentivazione motivazionale vengono adottati anche da aziende che hanno una organizzazione di tipo tradizionale e ormai il fenomeno investe anche il pubblico impiego. Il rischio è quello di rendere distruttivi anche i rapporti di lavoro all'interno di amministrazioni, enti e aziende che hanno finalità di innegabile utilità socio-economica. Molti fuggono e li si può capire.
Stiamo callcenterizzando tutto il mondo del lavoro?
Ho avuto notizia di una giovane laureata in scienze economiche, assunta come vincitrice di concorso da un importante ente pubblico, che si è licenziata, nonostante il contratto a tempo indeterminato che le garantiva una adeguata remunerazione e buone prospettive di carriera.
La rinuncia era motivata dalla personale insostenibilità delle mansioni di consulenza che le erano state affidate. L'attività era sottoposta ad un rigido controllo di risultati misurati solo in termini quantitativi. Per lei era impossibile raggiungere i risultati richiesti senza forzature nei confronti degli utenti. Il suo lavoro sarebbe stato valutato in modo negativo se avesse scelto di relazionarsi con gli utenti in modo leale e corretto. Il suo dilemma era dunque lo stesso dei telefonisti costretti ad operare nei call-center truffaldini.
Qualcuno potrebbe obiettare che l'azienda non può guardare ai risultati se non in termini strettamente numerici; la finalità dell'azienda non è il benessere personale dei dipendenti e degli utenti. Chi non lo capisce è uno schizzinoso. Choosy, fu il termine usato dalla professoressa Fornero nel suo ruolo di ministro del lavoro. Invece di fare proposte politiche per tutelare la dignità del lavoro accusava i giovani di essere troppo esigenti e poco adattabili. Invece io credo che la scelta della giovane laureata non è ascrivibile né a inidoneità alle mansioni, né ad uno scarso impegno. Possiamo escluderlo perché lo stesso disagio ce lo segnalano anche molti bancari, funzionari di lunga esperienza, persone che negli anni hanno saputo mostrare sia lo spirito di adattamento, sia le adeguate competenze. Per anni o decenni hanno svolto il lavoro con passione e con orgoglio e ora si sentono avviliti e umiliati da una valutazione quantitativa che non giova a nessuno, pertanto è chiaramente distruttiva.
Qualcuno probabilmente ricorderà il caso di un video diffuso in rete nel 2008 che mostrava una riunione aziendale in cui un dirigente Telecom parlava, con particolare enfasi, della vittoria di Napoleone a Waterloo. Il video suscitò ilarità e divenne virale a causa dell'errore storico: Napoleone non vinse a Waterloo. Un errore sciocco. Quel video avrebbe dovuto far riflettere tutti, ma non tanto per l'errore che poteva essere un semplice lapsus linguae, piuttosto per i riferimenti militareschi con cui il manager tentava di motivare i dipendenti e soprattutto per il piglio autoritario con cui lo faceva.
Era Telecom, allora un pilastro dell'economia italiana, non era un raduno di venditori di pentole, ma lo stile non era diverso, si basava sull'assurda pretesa per cui il numero di contratti/pentole venduti/e non dipenderebbe dalla qualità del prodotto o dalla reputazione commerciale del produttore, ma solo dalla motivazione del piazzista. Quel video dimostra che nel 2008 Telecom aveva già rinunciato alle strategie di carattere economico e industriale; preferiva fare la guerra per chi acchiappa più clienti-polli. Il manager che invece di parlare di tecnologia e telecomunicazioni, sproloquiava di Alessandro Magno e di Napoleone, fece negli anni successivi una sfolgorante carriera.
Il call-center come azienda modello
Anche Poste ha rinunciato alle telecomunicazioni che prima erano nel nome del Ministero. Era un pezzo importante degli apparati statali, ma ora, a seguito della privatizzazione, ha abbandonato il settore più lucroso nelle mani delle multinazionali straniere per ridursi a scimmiottare le banche e le bancarelle, sommergendo gli sportelli di chincaglierie.
Ovunque ci si lamenta di eccessi di burocrazia,
di protocolli, di informatizzazioni che peggiorano la qualità dei
servizi. Ma la colpa non è degli strumenti. Protocolli, circolari e
algoritmi non sono che strumenti. Il problema sta nella volontà di usare questi strumenti per limitare l'autonomia delle persone e trasformarle in anonimi "operatori".
Il fenomeno riguarda ormai ogni settore lavorativo, investe la sanità,
la scuola, la giustizia, l'informazione... Una volta c'erano i medici, ora ci sono i procolli sanitari; una volta
c'erano i giudici, ora ci sono gli orientamenti giurisprudenziali fotografati nelle massime della Cassazione; una
volta c'erano i maestri e i professori, ora ci sono gli operatori scolastici, esecutori di metodi pedagogici; una
volta c'erano i giornalisti, ora ci sono i conduttori televisivi.
Sembra quasi che si voglia eliminare il disordine di opinioni e di personalità diverse per inseguire il sogno di un sistema omnicomprensivo che potrà assicurare tranquillità e sicurezza. Il sogno di mettere ordine in un mondo, che un Dio distratto ha lasciato in disordine, ha contagiato da sempre le ambizioni di dittatori e re. Ora a qualcuno sembra realizzabile grazie ai progressi della tecnica e agli algoritmi.
C'è il rischio di una sterilizzazione dei luoghi di lavoro da cui potrebbe essere eliminato l'imprevedibile e poco gestibile
disordine della varia umanità.
Dopo anni in cui siamo stati martellati dall'idea di mobilità, flessibilità, produttività.. ora siamo martellati dal bisogno di formazione: le persone non possono restare così come sono, non possono portare nell'ufficio o nell'azienda la loro originale personalità che li rende diversi dagli altri. I lavoratori devono essere formati in modo che siano
funzionali al sistema. Non devono essere riconoscibili come persone, non devono essere creativi, non devono pensare di rendersi utili agli
altri, non devono distinguersi per sentirsi orgogliosi di se stessi. L'operatore formato è un ingranaggio ben lubrificato del sistema, deve agire come un semplice accessorio della macchina (informatica o burocratica) progettata per prendere le decisioni. L'azienda non esiste per il diletto di qualcuno. L'azienda deve produrre. Non c'è spazio per i choosy. Nell'azienda nessuno potrà dilettarsi, la qualità è un lusso superfluo. E' così, trasformando tutto in azienda, che ci stiamo logorando, di male in peggio, sia come cittadini, sia come lavoratori. Ma forse il mondo non è un bottonificio. Forse la vita umana, la salute, il sapere e il piacere valgono più del numero di bottoni.
Quando cominceremo ad affrontare questi problemi? Quando cominceremo a capire che i modelli distruttivi non giovano a nessuno? Quando cominceremo a dare regole ai rapporti di lavoro e a porre argini ai sistemi troppo distruttivi?
Lo faremo o siamo troppo impegnati a piangere e protestare per le cose che non vanno?

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