Pietro Citati è un meraviglioso cantastorie. Dal primo racconto della sua Luce della notte traggo un bellissimo ritratto degli antichi greci.
Li descrive dopo aver narrato la storia della guerra tra Persiani e Sciti. L'immenso impero di Dario spinse i suoi eserciti verso nord. Le schiere attraversarono il Danubio per sottomettere un popolo di nomadi. I guerrieri persiani, molto ben equipaggiati, entrarono nelle praterie dove gli sciti cavalcavano con i loro "cavalli più leggeri della pantera e più feroci dei lupi della sera". Cavalli bardati di feltro, ornati di cortecce, coi musi mascherati come teste di drago. Quei nomadi vivevano in città ambulanti composte di centinaia di carri imbottiti di feltro e trainati da coppie di buoi. Quei nomadi sembravano fuggire coi loro carri e le loro donne, invece combattevano una guerra invisibile che in un altro millennio avrebbero chiamato guerriglia. Arcieri nascosti attivano gli eserciti in imboscate e scagliavano frecce velocissime coi loro archi dalla doppia curvatura.
Dario, il sovrano del più grande impero del mondo, contemplò l'enigmatico dono degli sciti e si preparò a fuggire. Nella scatola c'era un uccello, un topo, una rana e cinque frecce.
La guerra nelle pianure del nord era stata anche una guerra magica: i magi d'oriente, detentori di grande sapienza, erano stati sconfitti da sciamani danzanti e da incantesimi di streghe nordiche.
Ai margini di questo catastrofico scenario Citati ci mostra le piccole isole greche abitate da pochi pastori che il grande imperatore non aveva degnato neanche di considerazione. Quel popolo che viveva nelle piccole isole, in piccole città senza esercito e senza re, avrebbe deriso per sempre l'immensa gloria dei persiani. Il segreto di quel popolo disgregato era la loro disgregazione. Erano capaci di soffermarsi a guardare le piccole cose, il susseguirsi concatenato di piccoli eventi la cui descrizione diventò filosofia e matematica, arte e mito.
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